di Luca Tronchetti
03 aprile 2018
Dramma della solitudine nella zona di San Concordio dove per almeno due giorni nessuno si è accorto che dal rifugio dove viveva l’uomo usciva del fumo nero
LUCCA. Muore nella solitudine e nell’indifferenza generale. Arso vivo, probabilmente nel sonno, nel suo giaciglio all’interno della baracca in muratura scelta come ricovero per l’inverno. La tragedia si consuma probabilmente nella notte di Pasqua, ma lunedì 2 alle 20,30 a scoprire il cadavere di un clochard rumeno di 50 anni è una pattuglia dei carabinieri di San Concordio diretta dal maresciallo Vincenzo Finocchi.
Al comandante, poco prima, qualche abitante di viale San Concordio fa presente che non vede da oltre 48 ore il cinquantenne homeless che staziona al numero 607 dietro al nuovo centro Tim. Lì, passato un arco, si arriva in una corte dove in fondo c’è un campo e una piccola struttura muraria abbandonata. La casa del barbone. La pareti sono annerite e all’interno c’è ancora fumo. La scoperta dei militari è terribile: disteso in un pagliericcio c’è qualcosa che assomiglia ad un corpo. Il cadavere carbonizzato del povero mendicante. Viene informata la centrale operativa e sul posto arrivano un’ambulanza inviata dal 118 e un’autopompa dei vigili del fuoco. Emerge subito una verità innegabile: il vagabondo rumeno che viveva di elemosine, ma non faceva male ad una mosca, è morto da tempo, forse da oltre 48 ore.
Perché i pompieri non debbono spegnere alcun focolaio. Non ci sono piccoli roghi all’orizzonte. Tutto è annerito: la plastica fusa, i miseri arredi completamente bruciati. Viene avvisato il magistrato di turno e il medico legale. Nessuna traccia - all’esterno del piccolo edificio di corte - di liquido infiammabile. Segno che il fuoco assassino è stato appiccato all’interno. La posizione del cadavere e le tracce trovate dagli inquirenti fanno propendere per l’ipotesi accidentale.
Il rumeno si è addormentato con il mozzicone di sigaretta accesa tra le labbra - ne teneva diversi accanto al pagliericcio - e la cicca è finita sulle coperte prendendo fuoco lentamente. Probabile, ma sarà eventualmente l’autopsia a chiarire ogni dubbio, che la morte del clochard sia imputabile ad asfissia. Soffocato dal fumo e poi arso dalle fiamme sprigionatesi rapidamente tra coperte e materasso. Al momento non sono stati rinvenuti documenti all’interno della casetta in mattoni, ma tutti gli indizi portano a quel barbone con lo sguardo assente che chiedeva l’elemosina e raccoglieva le cicche per terra. A volte qualcuno gli portava del cibo. Lui sorrideva e ringraziava.
Fonte: Il Tirreno Lucca
venerdì 6 aprile 2018
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