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venerdì 1 marzo 2019

Assistenzialismo e nuda proprietà, attenzione al reato di circonvenzione di incapace


Coniugi romeni condannati a 2 anni e 4 mesi di reclusione, oltre multa, risarcimento del danno e spese legali, per il reato di circonvenzione di incapace nei confronti del loro assistito 69enne autosufficiente e senza eredi, che aveva intestato loro la nuda proprietà della sua casa in cambio di prestazioni assistenziali e continuative fino alla sua morte.

Si esprime sulla sentenza l'Avvocato Vieri Adriani di Firenze:
"E' senz’altro possibile intestare la propria abitazione alla badante senza dover scontare un processo per circonvenzione d’incapace. La legge lo consente e lo chiama contratto di vitalizio assistenziale."

Leggi l'intera nota.


Nota a:Tribunale di Firenze, 19 dicembre 2017, n.5664, sez. II
Autori: Vieri Adriani- Avvocato

1.1. Una recente sentenza emessa dal Tribunale di Firenze nel 2017 ha rimesso in discussione l’opportunità per molti stranieri, i quali assistono persone anziane e/o bisognose con il ruolo di badanti, di continuare ad occuparsene Si tratta di due coniugi romeni condannati alla pena di anni due, mesi 4 di reclusione ed € 400,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, oltre la rifusione delle spese di lite sostenuta dalla stessa, per il reato di circonvenzione di incapace.
1.2.L’episodio centrale è il seguente: il Giudice ha ritenuto la circonvenzione del reato di persona incapace nel fatto che i due, in cambio di prestazioni continuative di assistenza ad un signore di 69 anni di età, autosufficiente, avessero conseguito come corrispettivo, tramite atto notarile, la nuda proprietà dell’abitazione di quest’ultimo, salvo il dritto di usufrutto, riconosciutogli espressamente, di proseguirvi vita natural durante.
1.3. La motivazione del Giudice sul punto è palesemente in contrasto con il pacifico orientamento giurisprudenziale che riconosce piena legittimità ai contratti di rendita vitalizia intercorsi con i c.d. “badanti” (Cass. civ. n.14796/2009; Cass. civ. n.1516/1997): “nel contratto di vitalizio assistenziale, con riferimento all'età e allo stato di salute, l'alea è esclusa e il contratto deve essere dichiarato nullo soltanto se, al momento della conclusione, il beneficiario era affetto da malattia che, per natura e gravità, rendeva estremamente probabile un rapido esito letale, e che ne abbia provocato in effetti la morte dopo breve tempo, oppure se il beneficiario aveva un'età talmente avanzata da non poter certamente sopravvivere, anche secondo le previsioni più ottimistiche, oltre un arco di tempo determinabile”. In un precedente anch’esso favorevole del 1995 (Cassazione civile, sez. II, 28/07/1995, n. 8287) si legge: “L'indagine sulla aleatorietà, che è elemento essenziale del contratto di rendita vitalizia a titolo oneroso mediante alienazione di immobile, e ne costituisce propriamente la causa, va condotta con riferimento al momento della conclusione del contratto apprezzando sia l'entità della rendita in rapporto ai frutti ricavabili dal cespite ceduto, sia la possibilità di sopravvivenza del vitaliziato, che non devono essere tali da consentire un'anticipata previsione dei vantaggi e delle perdite dei contraenti, richiedendosi per la validità del contratto un'oggettiva situazione di incertezza dei vantaggi e degli svantaggi dei contraenti al momento del contratto, collegata all'imprevedibile durata della sopravvivenza del vitaliziato”.
1.4. Il Tribunale non ha dato alcun peso al fatto che i due coniugi potessero un giorno divenire intestatari dell’immobile non per niente, ma in cambio di una gravosa prestazione di dare e di fare per un tempo indeterminato in favore di un uomo che al momento del fatto aveva-come detto- 69 anni, mentre la media europea di aspettativa di vita, come chiunque può facilmente accettare dalle informazioni fornite in Rete, non è inferiore ad anni 82 e in Italia è addirittura superiore. Sul punto, quindi, va ribadito che è senz’altro possibile intestare la propria abitazione alla badante senza dover scontare un processo per circonvenzione d’incapace. La legge lo consente e lo chiama contratto di vitalizio assistenziale
In sostanza, a fronte della cessione della nuda proprietà, si ha la controprestazione di assistenza materiale e morale all'assistito, vita natural durante, in cambio del trasferimento dell'immobile agli usufruttuari al momento della morte. Si è pronunciato in questi termini il Tribunale di Torino con un decreto del 27.11.2015.
1.5. Il Tribunale, che in questo specifico caso pare anteporre il processo alle intenzioni all’accertamento dei fatti , afferma anche di preoccuparsi che il badante si riveli inadempiente rispetto alle esigenze di salute dell’assistito , dimenticandosi che nell’atto di costituzione de della rendita vitalizia era stata addirittura prevista una clausola risolutiva espressa per tale caso, cioè il ripristino dello status quo ante se i due badanti romeni non avessero accudito al loro badato.
1.6. Ma non è finita qua: il Tribunale giunge al punto di sostenere che il badato non aveva alcun bisogno di intestare la nuda proprietà in cambio dei servigi dei due imputati, bastandogli il conto corrente e/o la pensione da 1.500,00€ al mese: .tutto possibile ma, nel dir ciò, dà prova di ignorare che ognuno è libero di fare ciò che vuole della propria liquidità. Per esempio di utilizzarla per progetti sulla propria vita futura, tramite degli investimenti, e sempre che non si tratti di un soggetto affetto da infermità o demenza psichica. Ed è proprio questo il punto sul quale il Tribunale sdrucciola e cade, come si vedrà fra un istante.
1.7. Va poi considerato, prima ancora, che l’esistenza di un “pregiudizio economico” della persona offesa costituisce uno degli elementi costitutivi del reato di circonvenzione. Mancando il quale, evidentemente, il fatto non sussiste. Nel caso di specie, l’assetto negoziale è perfettamente equilibrato: trattasi di concessione della nuda proprietà di immobile di classe A4 popolare, non di lusso, in cambio della riserva di usufrutto e delle prestazioni di cura e assistenza, con clausola di risoluzione automatica in caso di inadempimento.
1.8. Da notare, ancora, che il badato non aveva e non ha in questo caso specifico altri parenti e che appare logica l’intenzione di beneficiare chi si sia preso cura della sua persona una volta giunto al termine della sua esistenza, in assenza di eredi.
1.9. Sempre secondo il Tribunale, anche se il contratto vitalizio fu redatto per atto di notaio, è sufficiente che uno dei due interessati abbia accompagnato l’assistito presso lo studio notarile, per ricavare da ciò la certezza che quest’ultimo sarebbe stato “indotto” a compiere atti di disposizione favore dell’accompagnatore nel caso specifico. In pratica ciò equivarrebbe a ritenere provata l’ “induzione” esercitata sulla personalità dell’assistito per portarlo al complimento dell’atto di rendita vitalizia, richiesta dalla norma ai fini dell’incriminazione.
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2.1. Infine, e qui si raggiunge veramente il climax, la prova dello stato di incapacità al momento del fatto (contestato nel 2013) viene ottenuta tramite la testimonianza di un medico di base che vide l’assistito 4 anni prima (quindi nel 2009) e che può riferire che dopo la morte della di lui moglie, avvenuta nel 2004, questi soffrì di episodi depressivi che lo portarono ad un ricovero presso una struttura residenziale psichiatrica (nove anni prima dei fatti dei quali si discute!) per la durata di un mese, ma non seguito al termine da alcuna presa in carico dei Servizi Sociali. Incomprensibile la ragione per la quale Il Giudice non abbia ammesso la domanda su questo punto, sostenendo- bontà sua- che la circostanza sarebbe irrilevante ( è l’esatto contrario…): “si processa il suo cliente, non la ASL”, per come detto in udienza.
Neppure si sa se e di quale malattia abbia sofferto la presunta persona offesa, tali da inficiarne, in ipotesi, le capacità di mente, perché la depressione da sola -evidentemente- non basta, visto che ne soffre oltre il 20% della popolazione mondiale. Ci chiediamo perciò: come si fa, in questa vicenda, ad essere sicuri della prova di colpevolezza “oltre ogni ragionevole dubbio?”.
2.2. Solo incidentalmente, sarà appena il caso di notare, a questo punto, che i due testi indotti dalla difesa, vale a dire il notaio rogante e un avvocato che entrò in contatto con l’assistito per la valutare l’opportunità di redigere un contratto di locazione (a terzi) dell’immobile de quo, hanno riferito di un soggetto orientato nel tempo e nello spazio, perfettamente in grado di relazionarsi con i propri interlocutori (un notaio e un avvocato!) e per niente “agito” cioè “abusato”, dal suo accompagnatore, la cui presenza, per il Giudice di prime cure, sarebbe invece la prova provata dell’avvenuta “induzione”, come sopra
Per concludere, ecco arrivare infine la consulenza del perito, un professionista psichiatra, per il quale l’assistito era “malato”, ma non si sa di che cosa , salvo precisare che fosse da ritenersi “malato” “perché era stato “depresso”… nove anni prima!
2.3. Si scopre in controesame che c’è stato fra lui e l’assistito un solo colloquio clinico, non seguito da alcuna volontà di approfondire, di esaminare, di verificare, quale fosse mai lo stato effettivo di mente dell'assistito, se davvero “malato”, come sostiene il perito del Giudice.. Purtroppo molti psichiatri si limitano, come in questo caso, ad un sorta di apparente e tranquillizzante “a me gli occhi e ti dirò chi sei”, metodo sprovvisto nondimeno del rigore della prova medico-legale richiesta in un processo teso ad accertare se l’imputato sia responsabile o meno del reato di circonvenzione di persone incapace, perché “malata di mente”.
Andrà ricordato che il D.S.M. 5, vale a dire il Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali, a cura dell’ American Psychiatric Association esige, ai fini dell’accertamento del disturbo mentale, che Le procedure di valutazione clinica, dello psichiatra o psicoterapeuta, indirizzate alla diagnosi precoce tengono prevalentemente in considerazione tre classi distinte dei seguenti segnali indicatori:
a) colloquio clinico con i soggetti a rischio ed i loro familiari;
b) osservazione sistematica dei comportamentale della persona valutata;
c) specifici esami psicometrici e questionari, estesi se del caso anche ai familiari.
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Conclusione: se questo è lo stato della Giustizia in Italia e se i Tribunali debbono continuare a rimanere aperti, saremmo forse noi a dovercene andare.

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Firenze, 27 febbraio 2019
Avv. Vieri Adriani


STUDIO LEGALE Avvocato Vieri Adriani
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