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lunedì 8 febbraio 2010

Grande festa per gli 80 anni del pittore Constantin Udroiu

ROMA
Piovigginava a Roma mercoledì pomeriggio, non tanto però da infastidire le fiaccole accese lungo il percorso d’accesso all’Accademia di Romania dal Viale delle Belle Arti, a valle Giulia, sul quale prospettano la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e molte altre Accademie ed Istituti di cultura. Accese a giorno le luci ed aria di festa nei pressi del Salone delle Esposizioni. In fretta gli ospiti arrivano guadagnando l’ingresso. Si è quasi alle sei e mezza, l’ora fissata per il vernissage della mostra che celebra l’ottantesimo compleanno di Constantin Udroiu, nato il 3 febbraio 1930 a Bucarest ma da molti anni cittadino italiano nella capitale.

Rimarrà aperta fino al 14 febbraio. Vi giungo, finalmente, con l’affanno del tempo tiranno, consumato dall’ansia d’un ritardo inopportuno, complice il traffico di Roma nei giorni di pioggia, i sensi unici che snervano e un parcheggio per l’auto, agognato come una pepita per il cercatore d’oro. E’ quasi l’ora della festa approntata dall’Accademia in onore del pittore ed intellettuale rumeno, italiano d’adozione dal 1971. La Romania non ha inteso lasciar passare inosservata questa tappa della vita dell’Artista, uno dei suoi grandi figli che in Italia ed in Europa hanno al meglio illustrato la cultura e l’arte del Paese d’origine. E non solo. Giacché Constantin Udroiu, per altro, è un testimone vivente dei princìpi di libertà e di democrazia durante gli anni del regime comunista, affermati e pagati a caro prezzo con una condanna a 22 anni di lavori forzati, sofferti con un decennio di dura carcerazione, fino al 1964. Ora la Romania libera, dopo il crollo del regime di Ceausescu seguito all’insurrezione popolare nel dicembre 1989, non manca mai un appuntamento dell’itinerario artistico per onorare il Maestro, manifestando ovunque riconoscenza verso l’intellettuale e stima verso l’Artista, con l’immancabile presenza delle rappresentanze diplomatiche rumene, in Italia e presso la Santa Sede, all’inaugurazione delle sue esposizioni. Ecco, per l’appunto, come è nata questa mostra per l’ottantesimo compleanno del maestro Udroiu. E non poteva che essere celebrata nella sede dell’Accademia di Romania, prestigiosa vetrina del fecondo mondo culturale del Paese, legato all’Italia da molteplici affinità per le comuni radici neolatine.

La Sala delle Esposizioni è già animata da numerosi ospiti. Brillano gli ori delle icone su un’intera parete, spiccano i colori intensi delle tele sugli altri lati. Luminosa e solare la sua pittura sapida, inconfondibile la cifra dell’Artista, densa e ricca la sua versatilità espressiva. Il Maestro è impegnato a conversare con il Senatore a vita Emilio Colombo, uno dei Padri della nostra Repubblica, deputato a soli 26 anni, il più giovane dell’Assemblea Costituente. Dal 1946 deputato per molte Legislature, fino al 1992, più volte ministro (all’Agricoltura, Commercio Estero, Industria, Tesoro, Bilancio, Affari Esteri) e Presidente del Consiglio da 1970 al ’72. Più volte parlamentare dell’Europa Unita, è stato per due anni Presidente del Parlamento europeo. Infine Carlo Azeglio Ciampi, riconoscendone gli indiscussi meriti verso la Nazione, nel 2003 lo ha nominato Senatore a vita. Tornando all’evento, in sala è già presente George Bologan, addetto culturale presso l’Ambasciata di Romania in Italia. Qualche minuto d’attesa per l’arrivo dell’Ambasciatore, Razvan Rusu, perché la cerimonia abbia inizio. In programma alcune testimonianze ed una presentazione critica dell’arte di Udroiu. E’ il direttore dell’Accademia di Romania, Mihai Barbulescu, a far gli onori di casa. Con parole che presto abbandonano i canoni della circostanza, egli esprime a Constantin Udroiu ammirazione per la sua arte, per l’onore che rende alla Romania, per l’opera assidua come “ambasciatore” insigne della cultura rumena nel mondo.

L’Ambasciatore di Romania in Italia, Razvan Rasu, nel suo intervento, rivolge all’Artista gli auguri per la felice ricorrenza e sopra tutto gli consegna la riconoscenza del Governo rumeno e dell’intero Paese, manifesta attraverso una pergamena, per aver illustrato la Romania attraverso le espressioni della sua arte, ma anche per il contributo ai valori di libertà reso con la sua testimonianza di vita. Intenso l’intervento del sen. Emilio Colombo, a nome proprio e della sua regione d’origine, la Basilicata, così tanto cara all’Artista da averle dedicato una significativa messe di lavori monumentali e di eventi espositivi. Dell’uomo il sen. Colombo tesse le lodi, per la dolorosa esperienza di dissidente durante il regime, che lo ha privato di dieci anni di libertà. Ma, ora che la Romania è a pieno titolo anche politicamente in Europa, la comunanza tra le culture italiana e rumena fa crescere il richiamo forte alla matrice culturale, alla latinità dei nostri Paesi. Auguri all’insigne ottuagenario rivolge il sen. Colombo, annunciando per sé l’imminenza del traguardo dei novant’anni. Attenderà – dice con un sorriso benevolo – che anche l’Artista lo raggiunga nell’età, egli aspettandolo per far di nuovo festa. Viene quindi letto un fervido messaggio augurale di Bruno Mazzoni, docente all’Università di Pisa, trattenuto da impegni sopraggiunti.

Il turno per una testimonianza, come prevede il programma, è di chi scrive. Privati restano i sentimenti della mia amicizia, nata quasi tre decenni fa. Ma pubblico e doveroso è il tributo di gratitudine all’Artista, espresso per i tanti anni d’amministratore civico anche a nome della città che Udroiu molto ama, L’Aquila. Egli la scelse non a caso per tenervi la sua novantanovesima mostra personale, in ossequio al numero che distingue L’Aquila per il numero di Castelli che la fondarono, nel 1254. Nel 1984, al Forte Spagnolo, quella mostra fu un evento artistico di grande rilievo e da allora la città capoluogo d’Abruzzo è nel cuore di Constantin Udroiu. L’Artista volle rendere duraturo il suo sentimento verso la città con il dono alla Municipalità aquilana della Madonna dell’Amore, una grande icona che ha impreziosito la Sala della Giunta fin quando il terremoto del 6 aprile 2009 non ha devastato Palazzo Margherita d’Austria, come l’insieme dell’immenso patrimonio architettonico ed artistico cittadino e degli antichi Borghi che alla città fanno corona. Il dramma, per le vittime e le distruzioni del sisma, Udroiu l’ha sentito come suo, come ogni aquilano. Per la rete degli affetti, per l’amore verso una città preziosa d’arte e di storia, dove molte sue opere sono presenti in pinacoteche e collezioni private, dove ha tenuto altre due grandi esposizioni (nel 1989 a Paganica, nelle Scuderie del Palazzo Ducale, e nel 2001 all’Aquila, a Palazzo Antonelli-Dragonetti), dove ha realizzato due affreschi, al Centro Civico di Paganica e in una scuola elementare. Infine un legame con L’Aquila, il suo, reso ancor più forte per i suoi itinerari nell’arte sacra. La città lo ha sempre attratto per l’innata spiritualità, evocata dal messaggio universale di pace e perdono lasciato da papa Celestino V sette secoli fa con la Perdonanza, il primo giubileo della cristianità, istituita tre mesi prima di rinunciare al papato. Come pure per il segno impresso alla città dall’opera dei francescani dell’Osservanza sotto la guida di San Bernardino da Siena che all’Aquila volle venire a morire e dove le sue spoglie sono custodite nella basilica rinascimentale dedicata al suo nome.

Ancora una testimonianza di stima e d’affetto verso il Maestro giunge da mons. Pierdomenico Di Candia, Vicario generale dell’Arcidiocesi di Matera. Le relazioni artistiche intrattenute dal maestro Udroiu nelle chiese e nei conventi del materano sono numerose, ricorda il presule, come i lasciti di opere stupende che hanno arricchito quei luoghi di meditazione. Spetta infine al critico Dante Maffia il compito d’illustrare l’arte di Constantin Udroiu. Scrittore e poeta di notevole valore, docente di Letteratura italiana all’Università di Salerno, Maffia è originario di Roseto Capo Spulico, in Calabria, dove è nato 64 anni fa. L’esordio come poeta nel 1974, con il volume “Il leone non mangia l’erba” con introduzione di Aldo Palazzeschi. Numerose le pubblicazioni in versi (tra i quali Le favole impudiche, Il ritorno di Omero, Lo specchio della mente, Al macero dell’invisibile), molti volumi di narrativa, racconti e romanzi, tra i quali si ricordano “Le donne di Courbet”, con prefazione di Alberto Bevilacqua e nota critica di Alberto Moravia, “Il romanzo di Tommaso Campanella”, “Mi faccio musulmano”, “La regina dei gatti”, alcuni tradotti e pubblicati all’estero. Recente l’uscita d’un altro suo romanzo “Milano non esiste” che richiama sofferenze e disagi propri dell’emigrazione, con le emozioni forti dei ricordi della terra natale. Dante Maffia vive e lavora a Roma. Ama anche l’Abruzzo dove spesso soggiorna e dove da nove anni presiede, nel grazioso borgo di Introdacqua, nei pressi di Sulmona, la Giuria del Premio “Pascal D’Angelo”, quest’anno assegnato a Sergio Zavoli per la raccolta di liriche “Parte in ombra”.

“Il percorso pittorico di Constantin Udroiu – afferma Dante Maffia – è estremamente complesso e si muove a un tempo su piani diversi, non trascurando di soffermarsi su quegli aspetti delle arti figurative che la gran parte dei pittori ha messo in disparte per ragioni che vanno dall’incompetenza fino all’ignoranza. I pittori oggi hanno fretta d’arrivare, curano soprattutto le pubbliche relazioni… Non è il caso di Constantin Udroiu che invece ha pensato esclusivamente al lavoro, alla qualità di un lavoro enorme che l’ha visto onnivoro in direzione della grafica (disegno, incisione, acquaforte, xilografia, litografia, acquatinta), della pittura (su tela, vetro e tavola) e dell’affresco. Egli viene dalla rigida scuola rumena degli studiosi di icone. I suoi studi l’hanno impegnato su testi di storia, di patristica, d’arte bizantina. Ed è per questo che ancor oggi è capace di produrre raffinate e perfette icone nella stretta osservanza di quelle antiche regole stabilite a Bisanzio. Il passo verso l’affresco è stato naturale ed oggi possiamo ammirare opere di Udroiu in chiese e conventi di tutta Europa: immense scene del vecchio e nuovo Testamento in un’interpretazione vibrante che ha il sapore umano dei tempi moderni. Il sacro di Udroiu è intinto fortemente di una terrestrità che è poi la nota alta delle sue realizzazioni. In altri termini sacro e profano in lui non sono nettamente divisi, ma trovano sempre una loro perfetta convivenza e si risolvono in un rapporto senza contrasti. Semmai – aggiunge Maffia – si integrano e si illuminano a vicenda. A compiere questa simbiosi è la natura essenzialmente religiosa di Constantin che non sa prescindere d’adornare di sacralità anche il nudo femminile, la natura morta o il paesaggio. Con il passare degli anni l’Artista ha sprigionato un cromatismo che si lega ad una luce compatta, senza dispersioni. I colori hanno ritrovato la loro primigenia faccia, irrobustiti da una libertà festosa e voluttuosa. E’ memoria impressionistica sposata al fauve, con qualcosa di magico e fiabesco. Si può dire – conclude Maffia – che Costantin è un cavallo brado della pittura che sa però trovare la sua misura nel fuoco ardente della creazione e nella poesia rigorosa della sua anima…Quel che maggiormente sorregge la sua arte e la rende una preziosa miniera è l’umanità alta e profonda di questo figlio della latinità che ha saputo coniugare sempre una grande tenerezza con un’impeccabile tecnica”.

Doveroso, quindi, il riconoscimento all’Artista e all’intellettuale della nuova Europa, apparso molto commosso fino a qualche lacrima per gli onori che gli sono stati riservati. Constantin Udroiu è stato docente all’Università di Bucarest e membro dell’Unione degli Artisti Plastici Rumeni fino al suo arresto per dissidenza, nel 1954. Giunto in Italia per la sua prima mostra all’estero, nel 1971 a Sassari, è rimasto a vivere nel nostro Paese girando in lungo e largo le vie dell’arte bizantina, specie nel nostro Meridione. Intensa la sua frequentazione dell’Europa (Svizzera, Francia, Spagna, Grecia, Olanda, Portogallo) dove ha portato con grande successo la sua produzione artistica ma anche la competenza accademica, partecipando a seminari e convegni promossi da prestigiosi atenei. Le sue opere sono esposte nei musei di molte città in Romania, Francia, Portogallo e Italia, e in numerose collezioni pubbliche e private in diversi Paesi del mondo. Ampiamente meritato, dunque, il festeggiamento organizzato a Roma dall’Accademia di Romania. E grande anche la soddisfazione dell’Artista perché all’evento ha fortemente voluto essere presente, venuta apposta dalla Romania, Anca Udroiu, la seconda figlia del suo primo matrimonio. Lauree in Legge e Architettura, Anca Udroiu è docente di Urbanistica all’università di Bucarest e direttore generale del Ministero per le Politiche comunitarie della Romania. Anca è giunta per festeggiare il compleanno del padre con il marito, un affermato avvocato, ed i loro due bambini Theodor e Matei, facendo la felicità dell’Artista. Accanto a Constantin anche il figlio Ion, biologo e brillante ricercatore, nato a Roma dal secondo matrimonio dell’Artista con Luisa Valmarin, docente di Filologia romanza alla “Sapienza” e direttore del Dipartimento di Studi europei ed interculturali della prima università di Roma. Lunga vita, dunque, a questo Artista che esprime con la sua poliedrica cultura, con il suo impegno civile e con la sua umanità i valori stessi dell’universalità facendone un cittadino del mondo.

Fonte: QuartieriOnLine

Le mattine dieci alle quattro

C'è una solitudine che è tutta linguistica, semantica: un linguaggio povero, marginale, che tradisce e svela la periferia non solo urbana, ma dell'anima, uno stare fuori dai giri, in microcosmi che sono abitati da monadi scontrose e bisognose. Bisognose di tutto: d'affetto, di sentimento, di parole appunto.

Racconta anche questo il bel testo Le mattine dieci alle quattro, scritto da Luca De Bei e messo in scena, in collaborazione con Alessandra Paoletti, alla Sala Uno di Roma. Successone di pubblico, tanto che - come si diceva una volta "a grande richiesta" - sono state prorogate le repliche: e proprio a una replica "straordinaria" abbiamo assistito, tutti stipati sulla gradinata della saletta ricavata sotto la Scala Santa a San Giovanni.

E la storia, allora, è quella di tre marginalità, di tre sperdute e sparute identità che si incontrano, per caso ma reiteratamente, alla fermata di un autobus per andare a lavorare. Periferia di Roma, linguaggio sospeso tra Pasolini e sms, tra Gadda e Grande fratello, tra Monicelli e cinepanettoni. Divertente e spiazzante, comico e amaro, borgataro e generazionale. Sono incontri notturni, o mattutini - tutte le mattine, alle quattro meno dieci, come dice il titolo - mentre una nebbia fitta avvolge tutto, aspettando autobus sempre in ritardo: per poi raggiungere altre marginalità, altre vite imbastite di fatica e povertà.

Sono in tre alla fermata: due uomini e una giovane donna. I due lavorano in un cantiere, vittime di caporali e sfruttamento. Uno dei due è rumeno, zoppica vistosamente per una brutta caduta da un ponteggio. L'altro è l'ex idolo locale, bello e scemotto, ingenuo e generoso (si porta il rumeno a dormire a casa della mamma, perché quello non sa dove andare). Poi c'è lei, vispetta e caruccetta: va a fare pulizie, e anche lei, ovviamente, lavora in nero.

Ecco, lo sfondo melmoso di questa storia: oltre le umanità vi è un mondo fatto di lavoro precario e precarissimo, di illegalità diffusa e accettata, di impossibilità a fare altro. Lei avrebbe voluto studiare per fare la parrucchiera, lui vorrebbe una moto: sognano di andare al mare. Piccole cose, piccoli sogni, piccole parole in questo mondo che è dunque banlieu del cuore, della identità. Allora quando una scintilla, casuale, fa aprire bocca e i tre si parlano, la conversazione è farraginosa, difficile, riluttante. Poi, quando finalmente tra i due giovani scatta una progressiva e tenerissima intimità, allora sono monologhi, quasi soliloqui, in cui ognuno - dapprima con reticenza, poi sempre più - svela se stesso. Sembrano quasi, per usare una metafora improbabile, quelle conversazioni che si fanno in webcam su Skype: uno guarda l'altro, e vede se stesso, si osserva osservato, senza riconoscere né se stesso né l'altro, in un dialogo continuamente sfasato, con i tempi di comunicazioni diversi. I corpi quasi non ci sono: sono a disagio, sono goffi, non si sa mai cosa fare delle mani davanti allo schermo.

Così, i giovani protagonisti di questa storia, hanno movenze sapientemente impacciate: i piumini sempre addosso, quasi a proteggersi da un freddo che non è solo quello misurabile in gradi centigradi; le mani in tasca; l'mp3 o la gomma in bocca per lei e qualche slancio eccessivo frutto di una incontrollabile energia del corpo da parte di lui. E l'unica volta in cui i due si abbracciano, con tenerezza - sempre là, alla fermata d'autobus - si addormentano. Ma non vi è lieto fine possibile in queste periferie: la tragedia è dietro l'angolo, ingombrante e normale, prevedibile e accettabile come fosse un fato riservato a chi della vita conosce solo la prospettiva della marginalità.

Ovviamente sarà la morte a interrompere sogni e sentimenti. Morte sorda, inutile, sprecata come spesso sono le morti oltre che le vite. Morte al cantiere, sul lavoro: per un colpo di sonno, per una leggerezza, per mancanza di sicurezza o di tutele. Le mattine dieci alle quattro ha ottenuto il riconoscimento del premio "Enrico Maria Salerno" 2007 proprio per la capacità di affrontare - con garbo e intelligenza - temi scottanti come quello delle morti bianche, dell'immigrazione, del disagio sociale: magari qualcosa poteva essere sfrondato (a tratti si ha l'impressione di un eccesso di racconto, tutto è esplicitato) e forse una scena chiave troppo insistita rende prevedibile, quasi "telefondandolo", l'epilogo tragico.

Ma sono bravi i tre interpreti a rendere con ironia e adesione questo sottile gioco di amori mancati e vite sperdute. Federica Bern è Ciranda, detta Cira, per l'autore classe 1984; Riccardo Bocci è William, detto Uil, classe 1982 e Alessandro Casula è il rumeno Stefan, nato nel 1986: giovani, dunque, figli di un paese impastato di televisione e frustrazione. In questa Italia qua, a trent'anni i sogni finiscono, si cresce soli, senza troppe ambizioni o speranze. E si può morire di lavoro.

Fonte: Del Teatro

Zaia: accordo tra organismo pagatore rumeno Apia e Agea. Occasione di crescita reciproca

"Credo che gli scambi di esperienze tra gli Stati membri dell'Unione europea possano essere reciproche occasioni di crescita. Per questo sono lieto di dare il benvenuto alla delegazione rumena dell'APIA, che incontrerà la nostra AGEA per firmare un accordo di cooperazione il prossimo 8 febbraio".

Così il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Luca Zaia annuncia la firma dell'accordo di cooperazione tra APIA - l'Organismo pagatore rumeno - e l'AGEA, in occasione della visita a Roma di una delegazione dell'APIA, guidata dal Direttore Generale dott.ssa Melinda Kerekes.

L'accordo riguarda lo sviluppo di significative ed importanti azioni di cooperazione e scambio di esperienze nel settore dell'erogazione degli aiuti agricoli comunitari.

Grazie a tale iniziativa, che si inserisce nel quadro generale delle intense attività di cooperazione che l'Italia sta svolgendo insieme ad altri Stati Membri a supporto della Commissione europea, le amministrazioni italiana e rumena perseguono l'obiettivo di migliorare, attraverso il reciproco scambio di conoscenze ed esperienze, i benefici complessivi derivanti dalla Politica agricola comune per gli agricoltori di entrambi i Paesi.

La visita della delegazione rumena, che si tratterrà in Italia dall'8 al 10 febbraio, sarà l'occasione per dare una prima concreta attuazione all'accordo stesso, grazie al previsto ciclo di incontri con esperti dell'AGEA in materia di: Gestione delle domande di aiuto; Sistema integrato di gestione e controllo (telerilevamento, controlli in loco); Riforestazione e sviluppo rurale; Misure di mercato; Rendicontazione e contenzioso.

Fonte: Vini e sapori

La rivincita dell’orchestra

Si parte con Mozart e si finisce in gloria con il Concerto in re maggiore n. 35 per violino e orchestra di Ciaikovski in 12 minuti anziché 22, ma non importa: nella straordinaria ripresa musicale c’è tutto il pathos accumulato nella storia che si trasferisce da Mosca a Parigi. Quella di Andrei Filipov, ex direttore d'orchestra del Bolscioi ridotto da Breznev a uomo delle pulizie per aver difeso i musicisti ebrei, che si prende la rivincita: intercettato un fax d'invito per suonare allo Châtelet di Parigi decide di radunare i vecchi musicisti e presentarsi come Bolscioi. Come in Quella sporca dozzina, Full Monty, Vogliamo vivere (ogni riferimento a Lubitch non è casuale) è il classico gruppo improbabile che s'imbarca nella mission impossible, scavalcando salti logici in nome della verosimiglianza del cinema. Ecco imusici, raminghi nella Russia capitalista dell'amico Putin, a guidare ambulanze o suonare nelle feste trash della new mafia o nei film porno, ricompattarsi nel sogno di eseguire «quel» concerto di Ciakovski che esprime l'animo slavo e cui partecipa come violino solista una ragazza che è legata col cordone ombelicale al racconto. Se il concerto, dopo mille peripezie, inizia disarmonico, sarà lei a infondere l'armonia per finire in trionfo musicale, civile, politico. Il regista franco-romeno Radu Mihaileanu, che aveva accusato Benigni di essersi ispirato a Train de vie, ora si ispira clamorosamente alla geniale Prova d'orchestra di Fellini, un capolavoro su come la musica diventi armonia per motivi imperscrutabili. E firma un bellissimo e furbissimo film in cui se mai convivono fin troppi elementi, dall'antisemitismo d'epoca non sospetta alla visione della Mosca di oggi. La satira della Russia è fantastica non solo nei costumi volgari dei ricchi che ricattano col potere degli oleodotti di gas mentre i vecchi continuano col patetico contrabbando di caviale e le assise comuniste, ma nell' amoralità diffusa con quei 55 passaporti falsificati all'istante davanti al check in dell'aeroporto. A vincere è comunque Ciakovski, l'altra faccia dellp’amore per dirla con Ken Russell. La ricetta di mixare nostalgie e lacrime, musica e sorrisi vince su tutti i fronti: anche in Italia Le concert sarà un bestseller col cuore in mano. E se il primo tempo vince sul secondo dove il tocco mél0 rischia overdose di violino, appunto, si tratta di un film dal respiro umano e narrativo raro, con attori magnifici ed effetti specialissimi dell'orchestra di Budapest e della violinista rumena Nemtanu che «doppiano» Ciaikovski.

Maurizio Porro
05 febbraio 2010

Fonte: Corriere della Sera

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I romeni cacciati dal sindaco in campo con il lutto al braccio

Iniziativa dopo l’esposto: «E’ morta la fraternità nello sport». La Lega con il primo cittadino, critiche da Pd e Pdl

SAN GIORGIO IN BOSCO (Padova)
Giocheranno con il lutto al braccio: «A simboleggiare la morte della fraternità dello sport per mano del razzismo e della discriminazione». Se il gelo glielo permetterà, visto che i campi sono ghiacciati e la partita di dopodomani è ancora in forse. Tutto sembra congiurare contro la squadra di calcio romena di San Giorgio in Bosco (Padova) che si è vista vietare dal sindaco Renato Roberto Miatello le partite sul campo sportivo comunale: «Non vedo l'utilità di una formazione romena che non ha niente a che spartire con il territorio» ha detto Miatello. Ma la questione è anche velatamente politica: le maglie della squadra romena portano lo sponsor dell'ex sindaco del Pd a San Giorgio in Bosco, Leopoldo Marcolongo. L'associazione «Alleanza romena» a cui fa capo la squadra iscritta al campionato amatori, ha chiamato in causa palazzo Chigi con un esposto all'Ufficio nazionale anti discriminazioni razziali al dipartimento per le Pari opportunità. Insomma, è scoppiato un caso diplomatico: «La segnalazione adesso è passata all'ufficio competente per avviare le pratiche del caso» spiegano dall'ufficio antidiscrimanzioni a Roma.

Il presidente dell'associazione romena Adrian Teodorescu ha bollato la scelta del Comune come «Razzismo in chiave sportiva». «Ho sempre voluto lasciare fuori i ragazzi da questa questione perché restino concentrati in campo - spiega - ma domenica pensavamo a qualcosa di simbolico come il lutto al braccio per far emergere che la fratellanza e l'integrazione tramite lo sport sono state affossate dalla discriminazione razziale». La disputa per il campo sportivo inizia lo scorso settembre fino ad arrivare all'esposto recapitato iall'ufficio di Roma. «Il Comune dopo le nostre richieste ci ha negato l'uso del campo dicendo che il terreno era impraticabile - spiega Teodorescu - ma quel campo lo avevamo utilizzato fino all'anno prima ed in più l'associazione sportiva Ac San Giorgio può usare il campo e noi no. Per questo ci sentiamo discriminati». A fare quadrato attorno al sindaco legista di San Giorgio in Bosco è il suo partito, la Lega Nord, con l'onorevole e sindaco di Cittadella Massimo Bitonci: «Il sindaco Miatello ha tutto il nostro appoggio: in casa nostra comandiamo noi». Se non altro è chiaro. «Ho l'impressione che alcune associazioni e gruppi si stiano allargando bel oltre le proprie competenze - sottolinea l'onorevole -Mi chiedo ad esempio quale sia la vera attività di questa associazione Alleanza romena, già nota perché da qualche anno effettua consulenze per richieste anagrafiche e per altri adempimenti amministrativi. In ogni caso lo scorso anno ho presentato segnalazione alla Guardia di Finanza per accertare se l'attività svolta da questa associazione sia configurabile come attività di impresa e se stia tentando di dribblare il pagamento delle tasse».

E' pronta la replica di Evghenie Nona, consigliera comunale a Padova di nazionalità romena, del Partito democratico: «I sindaci Bitonci e Miatello dovranno rispondere davanti alla legge di quanto affermato - spiega - questa è la più vile discriminazione razziale: in campo sportivo, simbolo della solidarietà e non solo. Lo sport fa imparare delle regole che servono per affrontare l'integrazione. E le accuse di Bitonci hanno toccato il più basso livello possibile a dimostrazione del fatto che non ha nessun altra carta da giocare: qui non ci sono scusanti visto che a San Giorgio solo gli italiani possono giocare». Sulla stessa lunghezza d'onda stavolta anche l'onorevole del Pdl Maurzio Paniz, presidente del club juventino dei palramentari, uno con la passione del calcio nelle vene: «Penso che lo sport non deva mai entrare nella politica - spiega - non conosco le dinamiche interne al Comune però dico in maniera forte: lo sport deve unire e non disunire». Smorza i torni il collega di partito, consigliere in Regione, Leonardo Padrin: «Conosco il sindaco Miatello e non è come altri sindaci di quelle parti (la frecciatina è a Bitonci? ndr), se non ha concesso il campo ci saranno sicuramente validi motivi tecnici e logistici». Il sindaco Miatello però spiega: «Il campo è impraticabile ci sono pozzanghere e con otto squadre non posso dare il campo anche ai romeni». E rivendica anche la scelta di chiudere lo sportello immigrati del Comune: «Era un impegno in campagna elettorale e la stanza l'ho data alla Proloco, controllo anche tutti i documenti e le residenze degli stranieri come ufficiale dell'Anagrafe: sono razzista anche per questo?».

Fonte: Corriere del Veneto

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Claudio Dutto: “Vinta la battaglia sulle case popolari: limiti più restrittivi per gli extracomunitari e non solo”

“Dopo mesi di battaglia in consiglio regionale oggi abbiamo approvato un emendamento che renderà la nuova legge un po’ più equa per i cittadini piemontesi - dichiara Claudio Dutto, capogruppo Lega Nord in Consiglio regionale. “La vecchia legge – ricorda Claudio Dutto,– prevedeva la possibilità per gli extracomunitari di partecipare al bando per l’assegnazione degli alloggi popolari dopo tre anni di lavoro sul territorio comunale. Nel nuovo disegno di legge, il centro sinistra proponeva che questo limite venisse ridotto a 24 mesi. Come Lega, per contro, abbiamo avanzato la proposta di modifica per aumentare fino a dieci anni questo limite e proposto l’introduzione di un limite anche per i cittadini comunitari: se, infatti, fino a pochi anni fa francesi o inglesi non erano soliti chiedere di accedere alle case popolari, oggi, i nuovi comunitari, per esempio romeni e bulgari, possono farlo."

"Dopo mesi di duro ostruzionismo abbiamo ottenuto l’approvazione di un nostro emendamento che prevede un limite di tre anni aumentabile dai comuni a cinque anni, di residenza nel comune che emette il bando, limite generalizzato che verrà applicato sia agli extracomunitari, che ai cittadini della comunità europea che agli italiani residenti in altri comuni. In questo modo siamo riusciti a tutelare i piemontesi da tempo residenti nei nostri comuni arginando l’assegnazione delle case popolari, pagate con i nostri soldi, agli ultimi arrivati.”

Fonte: Cuneo Cronaca

Napoli, nasce l'associazione di lavoratori stranieri

Nasce a Napoli l’Asl, la prima associazione di lavoratori immigrati, con un presidente straniero, per iniziativa del Movimento cristiano lavoratori. Presieduta dalla filippina Gina Marasigan, insieme alla segretaria Elena Lyu Xuemei, cinese e al moldavo Andrei Albot, fornirà agli stranieri un servizio di consulenza e di accoglienza il martedì e il giovedì dalle 15 alle 18, in particolare assistenza legale, corsi di lingua italiana, pratiche di ricongiungimento familiare e di richiesta del permesso di soggiorno.

“Un servizio che - ha spiegato Andrei Albot - aiuterà gli stranieri ad orientarsi nella complicata burocrazia italiana”. “Compito delle istituzioni – precisa il presidente provinciale dell’Mcl, Michele Cutolo - è seguire queste persone e garantire loro un minimo di assistenza. Purtroppo il Comune di Napoli non fa abbastanza. Ci sono fasce di popolazione che nell’attuale congiuntura economica tendono inesorabilmente a crescere. Per questo abbiamo deciso di dare vita ad un’associazione di immigrati, fatta da immigrati e con un presidente migrante. Un’ associazione che possa interagire con chi vive da straniero in una città non facile come la nostra”.

Secondo i dati Istat il flusso di stranieri, tra Napoli e Caserta è pari al 6,5% della popolazione, un dato senz’altro rilevante che unito all’aumento del 30% dei bambini stranieri, fotografa la situazione attuale. “La tutela del lavoro – commenta Antonio Palma, docente alla Federico II – è uno dei temi da discutere adesso per evitare che ci siano delle Rosarno anche a Napoli”. Un impegno, quello dell’associazione che continuerà il lavoro dello sportello per immigrati, un compito completamente gratuito svolto dagli operatori stranieri e
non che ha accolto oltre mille pratiche in questi due anni di attività. “Per i documenti e le pratiche di lavoro – spiega la presidente, Gina Marasigan – i tanti stranieri in città arrivano a pagare fino a 1.200 euro ad altri sportelli”.

Secondo la presidente sono oltre 5mila i filippini che lavorano a Napoli tra MacDonald, pizzerie, o fanno da colf e badanti mentre i cinesi, aggiunge la segretaria, Liu Xuemei, conese arrivano a 20mila presenze in città. A conferma di un ruolo sempre più importante degli immigrati nella nostra economia. Per Enrico Lucci, presidente della commissione Trasparenza del Comune “l’attenzione per le tematiche lavorative è elevata in città e proprio dall’Mcl parte un processo di integrazione per Napoli”. Un’integrazione che continuerà con una serie di iniziative messe in campo dall’associazione – da oggi accreditata anche presso Provincia, Prefettura e Comune – come convegni e manifestazioni in difesa dei diritti dei lavoratori.

Fonte: Affaritaliani

Per rimanere in Italia servono 5349,89 euro

Roma – 3 febbraio 2010
Dal primo gennaio scorso è leggermente salito l’importo dell’assegno sociale: 411,53 al mese o, considerando tredici mensilità, 5.349,89 all’anno. Cambia di conseguenza anche un riferimento fondamentale per tutti gli stranieri in Italia.

L’assegno sociale è versato dall’inps agli anziani meno abbienti. Spetta ai cittadini italiani e comunitari che hanno raggiunto i 65 anni, vivono in Italia, sono qui regolarmente da almeno dieci anni e hanno un reddito inferiore all’importo annuo dell’assegno stesso. I cittadini extracomunitari sono ammessi solo se hanno in tasca la carta di soggiorno o il permesso per “soggiornanti Ce di lungo periodo”.

Con questi requisiti, sono pochi gli immigrati che hanno diritto all’assegno. Il suo importo è però il parametro utilizzato più di frequente dalla normativa sull’immigrazione per valutare la capacità economica dei cittadini stranieri e quindi, ad esempio, il loro diritto a rimanere in Italia o a portare qui la loro famiglia.

Ecco allora che per rinnovare il permesso di soggiorno per lavoro è necessario, tra le altre cose, un reddito annuo non inferiore all’importo dell’assegno sociale. E per chiedere il ricongiungimento familiare serve un reddito pari almeno all'assegno sociale aumentatò di metà per ogni parente che si vuole far arrivare in Italia.

Il parametro è importante anche per i romeni, i polacchi e tutti gli altri cittadini comunitari. Per trattenersi in Italia per più di tre mesi, anche loro quest’anno dovranno guadagnare almeno 5.349,89 euro.

Elvio Pasca

Fonte: Stranieriinitalia

Torino, vescovo:"Valori ai giovani"

Messaggio ai funerali 15enne ucciso
Dare ideali e valori ai giovani per evitare nuove tragedie come quella di Giorgio. E' questo il messaggio dell'arcivescovo di Torino Severino Poletto letto durante il funerale del 15enne romeno ucciso da due suoi connazionali in un parco della città. "Soltanto con l'aiuto del Signore - ha scritto - si riesce a sopportare un peso così grande, a fare anche di questa tragedia un motivo per impegnarci tutti affinché non accada più un fatto simile".

"Desidero - ha proseguito - far giungere una parola di conforto fondata sulla preghiera e sulla parola di Dio. Mi rivolgo, in particolare, ai genitori di Giorgio e ai suoi familiari e amici per manifestare la mia vicinanza di affetto e di sostegno al loro immenso dolore, invocando al Signore la forza di sopportare una croce così pesante e, soprattutto, chiedendo a lui il dono straordinario di poter perdonare".

"La mia parola - ha detto ancora l'arcivescovo - si rivolge inoltre a tutta la comunità della parrocchia di Nostra Signora della Salute e alla comunità dei fratelli ortodossi alla quale appartiene la famiglia di Giorgio, mentre Giorgio era membro a tutti gli effetti della comunità cattolica, per invitare a fare anche di questo tragico evento un'occasione di preghiera e di riflessione sulle attuali condizioni dei giovani in questa nostra società. Quando un ragazzo buono, studioso, che non faceva male ad alcuno viene aggredito in modo così inspiegabile e ucciso sulla strada, noi dobbiamo riflettere sui motivi per cui accade questa tragedia".

Il parroco, don Danilo Magni, ha poi ricordato durante l'omelia che "come Gesù Cristo, anche Giorgino è morto ingiustamente, ucciso dopo essere stato picchiato per una sigaretta. E ieri un anziano nel nostro quartiere è stato massacrato per strappargli la pensione: il crocifisso ci ricorda che ogni volta che l'uomo si volge alla rapina e alla menzogna, ogni violenza e aberrazione è possibile".

Un lungo discorso, quello del sacerdote, che ha puntato il dito contro "certi adulti che caricano sui giovani responsabilità che non sono dei giovani", ma anche un invito all'assunzione di responsabilita' da parte dei coetanei di Giorgio. "Siamo stanchi di certi adulti, anche addetti alla diffusione delle notizie, che fanno della morte un'occasione di spettacolo: questo indebolisce le coscienze dei più deboli e ci fa abituare al male. Siamo stanchi di adulti che hanno ruoli nella vita pubblica, che dicono tante belle parole e poi si comportano curando interessi e vizi di parte. Siamo stanchi di certi adulti che spingono i giovani a un'evasione continua. Siamo stanchi di adulti che hanno parlato di vendetta e che dichiarano di non sentirsi al sicuro e invocano la militarizzazione delle strade ma poi non si sforzano nemmeno di conoscere i vicini di casa, si lamentano e imprecano, ma non si rendono disponibili a creare un contesto più vivibile".

Don Magni ha quindi invitato i ragazzi ad assumersi anche loro le proprie responsabilità, ricordando quando "a Capodanno qualcuno si era lamentato della festa in parrocchia perché non c'erano alcolici e ha detto 'ma che festa è se non ci si può ubriacare?'. In questi giorni ci ho ripensato: perché bisogna bere, fumare (e sapete benissimo che non parlo solo di sigarette), perché bisogna avere il cellulare ultimo modello e se non ce l'hai che cosa fai, vai in giro a rubare? Vai a comprarlo dai ricettatori? Perché vai in giro armato, di chi hai paura o a chi vuoi fare paura? Non potete correre il rischiodi essere voi domani cattivi maestri. Così facendo rischiate di rendere inutile la morte di Giorgino".

Fonte: TGCOM

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In ricordo di Giorgio Munteanu

Sabato 30 gennaio nei giardinetti di Via Vibò, periferia Nord di Torino, moriva Giorgio Munteanu, giovane rumeno di 15 anni ucciso con una coltellata alla gola perchè si era rifiutato di dare il suo telefono cellulare agli aggressori. In questi giorni, giornali e telegiornali, hanno affrontato la questione nei modi più svariati, evocando antichi fantasmi (bullismo, razzismo…) e sostenendo l’invivibilità del quartiere.

Ieri, martedi 2 febbraio, i ragazzi di Borgo Vittoria insieme alla parrocchia Nostra Signora della Salute, hanno organizzato una fiaccolata in memoria di Giorgio. Volevano ricordarlo ma volevano anche ribadire che il quartiere è vivo, non è indifferente ad una morte così assurda, vuole riprendersi quegli spazi pubblici attraverso l’aggregazione di giovani che devono vivere il territorio.

Il parroco, don Danilo Magni, ricordava l’importanza dell’incontro, che genera fiducia, e scaccia paura e solitudine.

Casa Acmos c’era, in rappresentanza di tutto il movimento.

Fonte: Acmos