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lunedì 8 luglio 2013

Festival di Pesaro, ancora un premio per il cinema romeno

Una scena del film "Matei Copil Miner" di Alexandra Gulea
Nicola Falcinella
3 luglio 2013

Lo scorso 30 giugno si è conclusa la 49esima edizione della Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro. Ha vinto il film romeno "Matei copil miner" ("Matei bambino di miniera"), delicata opera prima della figlia d’arte Alexandra Gulea

Non fa quasi più notizia un film romeno che vince ai festival. Stavolta è toccato a “Matei copil miner - Matei Child Miner”, delicata opera prima della figlia d’arte Alexandra Gulea, che ha vinto il premio Lino Miccicchè della 49° Mostra intenazionale del nuovo cinema di Pesaro. Come un anno fa “Djeca – Buon anno Sarajevo” di Aida Begić, il film della Gulea si è aggiudicato sia il trofeo ufficiale sia il premio della giuria giovani. Una menzione è andata invece a “La chupilca del diablo” del giovanissimo cileno Ignacio Rodriguez a coronamento della retrospettiva dedicata al nuovo cinema del Cile, uno dei più interessanti del momento.

La Romania che sforna talenti in continuazione ha proposto il passaggio dal documentario alla finzione di una regista con uno stile personale e molto diverso da quello che caratterizza la nuova scuola romena. “Matei copil miner”, presentato in prima mondiale al Festival di Rotterdam, è la storia semplice di un undicenne, Matei (interpretato dall’intenso Alexandru Czulu, che riesce a dare tutte le variazioni un un personaggio vivace e sensibile), che vive con il nonno perché i genitori lavorano in Italia. La vita in una città mineraria semi abbandonata perché l’estrazione è terminata, gli impianti sono in disuso e non ci sono molte prospettive per gli abitanti. È l’inizio dell’inverno, il ragazzo aiuta il nonno a rivestire i tronchi degli alberi da frutto in vista del gelo imminente. Il loro rapporto è molto stretto e Matei, che litiga spesso con i compagni di scuola che lo deridono, ha nel nonno l’unica figura di riferimento.

Attende con ansia la telefonata della madre, ma poi, quando chiama, non ci vuole parlare. Oltre alle scorribande libere nella natura, le sue passioni sono la chitarra e gli insetti, che osserva e raccoglie. Dopo essere stato espulso da scuola per un equivoco, ha un litigio con il nonno e decide di usare tutti i risparmi e prendere un treno per Bucarest. Nella capitale va subito a visitare il museo di storia naturale e trova il luogo dei sogni e delle scoperte, nonché un uomo che per una volta sembra ascoltarlo. Tornato alla cittadina, trova il nonno morente. Condotto in un istituto fino all’arrivo della madre e del fratello minore che però parla quasi solo italiano. A quel punto Matei si accorge che ciò che più aveva desiderato non corrisponde più alle aspettative: si accorge di essere in qualche modo diventato grande e trova il coraggio di scegliere.

Un racconto di formazione seguendo le stagioni, con grande importanza alle immagini della natura. Un racconto piano, fatto di sfumature e piccole cose, con le musiche che ogni tanto irrompono portando un tono quasi giocoso. Non lunghe sequenze con la macchina a mano e grandi dilemmi morali come la nuova scuola romena insegna, ma una confezione più classica, con inquadrature per lo più fisse e ben fotografate.

Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso

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