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venerdì 19 settembre 2014

Quando la badante (rumena) abbraccia il figlio sul pc

Li chiamano orfani bianchi, solo in Romania se ne contano 350 mila. Sono stati lasciati dalle madri venute a fare le badanti in Italia. Un'associazione li mette in contatto tramite internet

 Suo figlio le parla dallo schermo e lei vorrebbe abbracciare il computer, prenderlo a baci. A quanti non è capitato di vivere un affetto a distanza? Senso di vuoto, esercizio della pazienza e la vita va avanti. Ma quando ad essere lontana è una mamma che ha lasciato in patria i suoi bambini, e i giorni diventano mesi e i mesi diventano anni, allora è un lento strappo del cuore, un dolore che batte e fa danni.

 Negli ultimi decenni sono tantissime le donne partite dalla Romania (ma anche dalla Moldavia, dall’Ucraina) che sono venute in Italia per fare le colf, le badanti o le baby sitter. E mentre si prendono cura delle nostre famiglie, le loro restano in patria ad aspettarle, soprattutto i bambini: «orfani bianchi», si dice, perché è come se loro fossero rimasti soli al mondo: lasciati alle cure di padri, nonni, zii o vicini di casa, magari anche in orfanotrofi. Solo in Romania se ne contano 350 mila.

 «Li vedo cresciuti dallo schermo, ma continuo a sognarli come li ho lasciati: dei bambini», racconta Vasilica, 39 anni, in Italia da otto. In un paesino vicino a Bucarest ha lasciato Adrian e Alessandro, 13 e 11 anni. Vivono col padre, ma col padre non parlano granché. Si sentono tutti i giorni con la madre, ma le chiedono insistentemente di tornare a casa. «Ma in Romania è tanto se guadagno 200 euro al mese – spiega Vasilica – come faccio a farli studiare?». Il suo dolore più grande è stato quando curava i bambini di una famiglia italiana: «Sbucciavo la frutta per loro, pensavo ai miei. Trattenevo le lacrime, poi la sera tornavano i genitori e li vedevo riunirsi felici. Certo, ho messo a posto la casa, li faccio studiare, ma non li ho visti crescere».

 Poi c’è Gabriela, che ha passato mesi ad angosciarsi per sua figlia: l’ha lasciata che era ragazzina e lei ha preso a frequentare compagnie sbagliate. Usciva e chissà dove andava, per lei che era in Italia era diventata una tortura. «Ci parlavamo su Skype – racconta – sentivo la sua rabbia, cercavo di parlarle, ma è stata dura».

 Il problema è questo: molte mamme romene non usano il computer oppure, se il pc si rompe, non lo fanno aggiustare. Prima viene l’affitto in Italia, poi vengono i soldi da mandare a casa, se ne restano ci si pensa. Non ne restano quasi mai. Dall’altro lato, in patria, ci sono i bambini: anche a loro servirebbe un computer e una linea telefonica, o magari uno smartphone per vedere il viso della mamma. Ma il più delle volte i mezzi non ci sono, i contatti sono radi, i bambini si sentono abbandonati, si ammalano di depressione, soffrono di ansia, hanno disturbi dell’apprendimento, sviluppano un senso di apatia e di indifferenza al mondo e a volte si suicidano (in Romania, dal 2008 ad oggi, ci sono stati 40 casi).

 A Milano, Silvia Dumitrache ha dato vita alla Associazione Donne Romene in Italia (ADRI) e ha lanciato il progetto «Te iubeste mama» (Ti voglio bene mamma) per facilitare il contatto tra mamme e bambini. Ha l’appoggio di 13 biblioteche di Bucarest: dal 15 settembre, dal martedì al venerdì, dalle 8 alle 22, i bambini potranno connettersi su Skype e parlare con la loro mamma. «Ma l’idea – spiega Silvia – è di creare lo stesso servizio anche in Italia, per le mamme. Biblioteche o parrocchie, cerchiamo solo chi ci dia una mano».

 Silvia è tornata da poco e si è portata dietro i disegni dei bambini. Uno dice: «Cara mamma, so che mi ami, ma senza di te è difficile, per favore torna». Un altro bambino non sa più dov’è sua madre e le ha lasciato un disegno: «Visto che tu vivi in Italia, se la trovi daglielo». Ovviamente c’è scritto una cosa sola: «Mamma, torna». (Stefania Culurgioni)

 Fonte:Vanity Fair

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