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sabato 24 gennaio 2015

Alla scoperta del vino rumeno

Offuscata per troppi anni, la vera cultura enologica locale sta risorgendo grazie a un drappello di vignaioli che vuole puntare sullo sviluppo dei vitigni autoctoni

mercoledì 21 gennaio 2015

Non sono pochi i casi in cui feroci e invasivi piani industriali, sapientemente messi a punto per incrementare la produzione facendo perno sul trito e ritrito pretesto della globalizzazione, finiscono per essere sopraffatti da una contagiosa brama di arricchimento che rischia, per di più, di svilire il retaggio culturale di un popolo e di un territorio. Una dinamica che, purtroppo, sta intaccando le tradizioni vinicole in molti Paesi di tutto il mondo, dove ormai vengono privilegiati uvaggi internazionali meticolosamente creati a tavolino a scapito degli autentici vitigni locali. Ed è quanto è avvenuto negli ultimi anni in Romania, un Paese ricco di antiche varietà vinicole che ha preferito puntare su cloni di Chardonnay e Cabernet: la scelta ideale per soddisfare i palati "global" e conformati al gusto odierno. Tuttavia, seguendo una strategia di nicchia che si sta lentamente diffondendo in tutta Europa, un folto drappello di vignaioli ha cocciutamente deciso di essere fedele alle proprie radici, investendo in tecniche e macchinari moderni per migliorare il processo di vinificazione. Così, lavorando con vecchi vitigni rumeni - come Feteasca Regala, Feteasca Alba, Cramposie Selectionata (per produrre vini bianchi), Feteasca Neagra, Negru de Dragasani, Novac e Babeasca Negra (per i rossi) - e senza ricorrere a "blend" internazionali, diversi produttori vinicoli sono riusciti ad aprire il mercato delle esportazioni alle specialità autoctone.

Per poter assistere ai primi vagiti della "rinascita del vino rumeno" bisognava recarsi domenica scorsa nella splendida città di Timisoara, battezzata "la piccola Vienna" per le evidenti tracce lasciate dalla proficua dominazione asburgica. Il centro urbano più cosmopolita della Romania, e il terzo più popoloso dopo Iasi e Bucarest, ha dunque ospitato una affollatissima degustazione dei vini prodotti da una dozzina dei migliori vignaioli del Paese che hanno voluto scommettere sulle varietà "indigene". Ad organizzare l'evento, mobilitando i produttori e coinvolgendo un gruppo di ragazzi disabili, è stato un giovane abitante di Timisoara: Szoverdfi-Szep Zoltan, conosciuto con il nomignolo di Zoli. Allampanato, dal largo sorriso e perennemente entusiasta, Zoli collabora da anni con associazioni di volontariato per il sostegno agli invalidi e nutre una sfrenata passione per il vino genuino. Da qui è nata l'idea di mettere in piedi una fiera vinicola totalmente diversa dalle solite che addensano i calendari degli appassionati, frequentate per lo più dai maggiori produttori intenti a boicottare con ogni mezzo i piccoli vignaioli. Promuovendo quindi meritevoli cantine rumene che vinificano "in purezza" uve autoctone, Zoli è riuscito anche ad aiutare lodevolmente il gruppo di giovani disabili, devolvendo la maggior parte dei proventi alla loro associazione. E la degustazione si è rivelata uno strepitoso successo: benché alcuni produttori si servano in maniera decisamente eccessiva delle barrique di rovere - un'escamotage nemmeno troppo abile per mascherare una raccolta prematura -, la qualità riscontrata è stata indubbiamente elevata.

Uno dei punti su cui insiste maggiormente Zoli affinché l'industria rumena del vino possa riconquistare originalità e ottenere larghi consensi su scala mondiale è quello di apprendere "l'arte della cooperazione". Dopotutto la mancanza di coesione commerciale che palesemente caratterizza il settore è dovuta a ll'enorme varietà di influenze culturali. Gli esempi, infatti, abbondano: Avincis, uno dei maggiori esportatori vinicoli del Paese, è gestito da un enologo francese e dalla moglie colombiana; Corcova, altro grande produttore nazionale, ha un direttore commerciale inglese; Halewood e Recas, i due maggiori esportatori, nascono in realtà in Gran Bretagna; Oprisor è una società tedesca trapiantata in Romania e Stirbei deve il suo successo a un enologo tedesco, Oliver Bauer, che ha anche lanciato un proprio marchio.
(Francesco Caponio)

Fonte: ItalIntermedia

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