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mercoledì 19 giugno 2019

Romania: il più grande produttore di moda d’Europa



La moda rumena

18 Giugno 2019

I lavoratori dell’abbigliamento in Romania guadagnano solo il 14 per cento di un salario che potrebbe essere definito almeno “dignitoso”. Le principali destinazioni di esportazione dell’abbigliamento “Made in Romania” sono l’Italia, il Regno Unito, la Spagna, la Francia, la Germania e il Belgio. I marchi rilevati durante le indagini spaziano da discount e aziende di fast fashion a marchi del lusso di alta gamma, tra cui Armani, Aldi, Asos, Benetton, C&A, Dolce & Gabbana, Esprit, H&M, Hugo Boss, Louis Vuitton, Levi Strauss, Next, Marks & Spencer, Primark e Zara (Inditex). Per questo i familiari di quei lavoratori sono costretti a cercare impieghi precari, al nero e spesso umilianti in Europa occidentale. Il nuovo rapporto della Clean Clothes Campaign

Foto tratte dal rapporto sul lavoro in Romania di Clean Clothes Campaign

I marchi dell’Europa occidentale approfittano della povertà salariale in Romania: il più grande produttore di moda d’Europa.

Il nuovo rapporto della Clean Clothes Campaign dedicato alla Romania analizza ampie ricerche che coprono gli ultimi sei anni, con particolare attenzione al periodo 2017-2018. Quasi mezzo milione di persone lavora nell’industria della moda rumena – la maggiore forza lavoro di questo settore in Europa. Con quasi 10.000 fabbriche e laboratori, la Romania rappresenta a uno dei paesi di produzione storici per i marchi di moda dell’Europa occidentale.

Da più di un decennio, l’industria dell’abbigliamento del Paese soffre di una drammatica carenza di manodopera, a causa delle condizioni di lavoro pessime. I lavoratori considerano i salari bassissimi del settore come il problema più grave: la paga media dei lavoratori intervistati per un orario di lavoro regolare è pari solo al 14% del salario dignitoso. Contrariamente alla legge, una cifra spesso inferiore al salario minimo legale, che di per sé costituisce comunque solo il 17% del salario vivibile. Sempre secondo i lavoratori, il mancato pagamento del salario minimo legale costituisce la norma. Molti di loro riferiscono di essere costretti a contrarre prestiti per far fronte alle spese quotidiane, come quelle di riscaldamento in inverno. Ciò significa che la maggior parte è fortemente indebitata. “Sto restituendo un prestito mentre guadagno 150 euro al mese. Soldi chiesti non per acquisti di lusso, ma per pagare le mie cure mediche“, ha riferito un lavoratore al nostro ricercatore.

Oltre a contrarre debiti, i lavoratori e le loro famiglie sopravvivono, nonostante la povertà dei salari, grazie all’agricoltura di sussistenza, condotta oltre le lunghe ore di lavoro in fabbrica, e grazie al sostegno dei membri della famiglia che migrano verso l’Europa occidentale in cerca di lavoro. Quasi tutti gli altri lavoratori intervistati hanno raccontato di avere familiari che lavorano nell’edilizia o nell’agricoltura, ad esempio in Italia o in Francia. La migrazione della manodopera verso l’Occidente è una conseguenza diretta della povertà dei salari. “Provate a mantenere le vostre famiglie per un solo mese con i nostri salari” è stato l’invito di un lavoratore rivolto alle aziende che producono abiti nella fabbrica in cui è impiegato.

Oltre ai bassi salari, i lavoratori della metà delle fabbriche oggetto di indagine riferiscono di ore di lavoro straordinario non retribuito, così come di ventilazione e aria condizionata non funzionanti in un Paese dove le estati possono essere roventi. La ricerca ha riscontrato anche casi di straordinari forzati e di accesso limitato. Tutti i lavoratori si sono lamentati di essere vittime di bullismo: vengono maltrattati verbalmente, molestati e costantemente minacciati di licenziamento.

Deborah Lucchetti, portavoce della Campagna Abiti Puliti, membro italiano della Clean Clothes Campaign, lo riassume così: “I marchi del tessile spesso si vantano di portare lavoro in quei Paesi in cui ce n'è bisogno e di offrire soprattutto alle donne una strada per uscire dalla povertà. La nuova ricerca della CCC dimostra che lavorare per i marchi della moda occidentali non costituisce una via di uscita dalla povertà, piuttosto favorisce la contrazione di debiti per sopravvivere ed è causa di separazione delle famiglie. Nessuno dei marchi che si rifornisce in Romania si è impegnato seriamente ed efficacemente contro le violazioni dei diritti umani e del lavoro nel Paese. È giunto il momento che l’Unione Europea introduca norme vincolanti sui diritti umani lungo le catene di fornitura e affronti le grandi disuguaglianze all’interno del continente. In una parte – quella occidentale – i salari minimi legali sono a prova di povertà; nell’altra sono addirittura al di sotto della soglia di povertà stabilita dall’Unione Europea.”

La Clean Clothes Campaign chiede che l’Unione Europea sviluppi una politica comune sui salari minimi per garantire in tutti gli Stati membri il rispetto del diritto umano a un salario vivibile, applicando di fatto il suo “Pilastro dei diritti sociali”. In particolare al Capitolo II, paragrafo 6 di questo documento si legge che “i lavoratori hanno diritto a salari equi che garantiscano un tenore di vita dignitoso” e che “la povertà lavorativa deve essere prevenuta”.

Fonte: Comune Info

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