Sinodo; notizia del 2012-10-17
Toccanti le testimonianze ascoltate nell'Aula sinodale delle Chiese che in anni recentissimi hanno versato il sangue sotto il regime comunista sovietico per il solo fatto di professare la fede in Cristo. Al microfono dell'inviato al Sinodo, Paolo Ondarza, le parole di mons. Virgil Bercea, vescovo di Oradea Mare in Romania:
R. – Dobbiamo ritornare alla testimonianza dei nostri martiri della Romania. Dal 1948 in poi, e fino al 1964, le carceri in Romania erano piene: c’erano cattolici, ortodossi… I comunisti hanno voluto distruggere la Chiesa e gli intellettuali per poter controllare tutto. Queste persone hanno dato la vita per Cristo: i comunisti hanno cercato di trovare tanti capi d’accusa, ma non ne avevano. La loro grande colpa era quella di essere cattolici. Riusciamo a cogliere questa testimonianza forte per il nostro oggi? In realtà, non sono tanto lontani da noi, sono ancora vive le persone che li hanno conosciuti.
D. – Ricordiamo che il martire cristiano non è un fanatico: il martire cristiano è qualcuno che non si piega nelle proprie convinzioni di fede di fronte alla prepotenza…
R. – Erano persone con una grande disponibilità, con una grande bontà e una grande carità. Ovunque siano stati, sono diventati dei modelli: riuscirono addirittura ad addolcire il comportamento di quelli che li sorvegliavano, che prima li avevano terrorizzati… Sono morti per amore di Cristo, non con arroganza ma con umiltà e con la pace nel cuore, con serenità, convinti che questo loro comportamento avrebbe portato la vita e la speranza. Sì, perché in quei momenti, quando tutto era grigio e buio, quando i comunisti erano riusciti a trasformare il nostro Paese in un grande carcere dal quale nessuno sarebbe potuto uscire, c’era bisogno di speranza. Ora, parlando con la Radio Vaticana, io ho questo ricordo: quando i miei genitori hanno avuto la prima radio – io vengo da un piccolo paesino – siamo riusciti ad ascoltare la Messa alla Radio Vaticana. La mia mamma ha messo una Croce sulla radio e nella nostra casa sono venute tante persone e davanti alla radio ci siamo trovati come davanti all’altare. All’inizio della liturgia, ci alzavamo tutti in piedi; al Vangelo, come si usa da noi, ci inginocchiavamo. Naturalmente, non potevamo fare la comunione, non avevamo un sacerdote, ma indossavamo tutti il vestito della domenica: partecipavamo davvero alla Messa. La prima volta che ho ascoltato la liturgia è stato alla Radio Vaticana. Mentre noi partecipavamo alla Messa attraverso la radio, i nostri martiri erano dietro alle sbarre. Eravamo uniti nella preghiera: le loro preghiere dal carcere e le nostre guidate dalla Radio Vaticana. Un mio zio che poi è diventato cardinale è stato 16 anni in carcere; quando è tornato, con i capelli rasati a zero, con gli occhi fuori dalle orbite, sono rimasto così impressionato dalla sua personalità! Era alto 1,85 metri, e l’hanno tenuto tre anni in isolamento in una stanza di un metro per un metro e cinquanta, e doveva stare in piedi tutto il giorno. Questi martiri erano esposti al freddo, a -30°… Vede, queste cose parlano ancora oggi, si trasmettono: il sangue dei martiri è il seme per la nascita di nuovi cristiani.
D. – Quello che lei sta raccontando suggerisce quanto possa essere potente il ruolo dei mezzi di comunicazione per arrivare nei luoghi nei quali è impossibile predicare il Vangelo. E anche oggi, questa sfida rimane attuale in tante parti del mondo …
R. – E’ importante: come Radio Vaticana avete fatto del bene, e continuate a farne. Pensi, la mia mamma anni fa ci ha fatto conoscere la Santa Messa attraverso la Radio Vaticana. Adesso lei è malata, a letto, e le tiene compagnia l’ascolto della Radio Vaticana! Qualcuno l’ha definita “la Chiesa dell’etere”. Veramente, fate un bene enorme: agli anziani ma anche ai giovani, a quelli che sono per strada e ascoltano la radio in macchina, dovunque nel mondo … Continuate a farlo, e fatelo con convinzione! Anche voi attraverso la Radio Vaticana fate una grandissima opera di evangelizzazione.
Fonte: Radio Vaticana
domenica 21 ottobre 2012
Mons. Bercea racconta al Sinodo il martirio della Chiesa romena sotto il comunismo
Pubblicato da Catalina Sava alle 22:08
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