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lunedì 8 ottobre 2012

Nel paradiso di parole di Eliza Macadan

Una premessa storica. Nel 1989 la Romania fu attraversata da una rivoluzione che rovesciò la dittatura comunista di Ceausescu e culminò con la sua fucilazione. Qualcuno tra i meno giovani ricorderà ancora i servizi dei telegiornali con quell’inconsueto sventolio di bandiere bucate nel mezzo. I Romeni, pur di voltare pagina, avevano ritagliato e fatto sparire lo stemma comunista persino dalle loro bandiere. Finiva così un regime che aveva per decenni impoverito il Paese e creato un clima di terrore attraverso la sua polizia segreta, la Securitate.

Da questa situazione sociale è uscita una generazione di letterati condizionata, per forza di cose, dal peso della miseria e dell’assenza di libertà. Letterati che hanno saputo dare voce al dolore di un popolo in cerca di riscatto. Basta un nome: Herta Müller, premio Nobel nel 2009, trentaseienne all’epoca della caduta di Ceausescu e per anni bersaglio di una vera e propria persecuzione da parte del regime per via della sua attività letteraria (cfr. “Solženycin e Müller, le differenti voci dei dissidenti dell’Est”, Terzapagina del 26/8/2011).

Eliza Macadan appartiene alla generazione immediatamente successiva, quasi fosse una sorella minore della Müller. Se Herta Müller, scrittrice, è originaria del Banato tedesco, all’estremo Ovest della Romania, Eliza Macadan, poetessa, proviene dalla zona Moldava, verso il confine Est. Quando la dittatura di Ceausescu viene rovesciata, la Macadan ha appena ventidue anni. Ne ha respirato l’atmosfera opprimente durante l’adolescenza e la giovinezza ma in un certo senso ha potuto completare la propria formazione all’ombra della nuova libertà. Non a caso è stata corrispondente in Italia per diversi giornali romeni, da cui il suo bilinguismo. È il bilinguismo, come nel caso della Müller, ad alimentare il suo gusto per la parola in quanto significato e significante, suono, sensazione tattile e visiva.

 Paradiso riassunto, uscito in Italia lo scorso maggio e scritto dalla Macadan direttamente in lingua italiana, è una silloge di cinquantaquattro brevi liriche. Se il titolo può sembrare un’allusione tra il nostalgico e il sarcastico al Paradiso perduto di Milton, il linguaggio è scarno, moderno, reso essenziale dall’assenza di punteggiatura e di lettere maiuscole: i nomi propri non esistono, l’iniziale maiuscola è utilizzata solo per la parola “Dio” e, in una sola circostanza, per la parola “Mondo”. Non esistono neppure i titoli. Scelta chiaramente non estetica ma legata al binomio forma-contenuto. Non per nulla anche la narrazione poetica procede per immagini lapidarie, per illuminazioni improvvise che durano il tempo di una parola letta. Il respiro è dato soltanto dal verso in sé, spesso composto da due, tre elementi, talvolta da un solo vocabolo (ad esempio: “mi manca la felicità / impietrita / sul viso degli zingari”). Un ritmo che ricorda, per certe sfumature, l’ermetismo di alcuni nostri poeti del Novecento.

È una visione sofferta, quella di Eliza Macadan, che oscilla tra il dolore dell’esperienza interiore – appunto tutta ermetica – e la denuncia del malessere sociale, a volte reale a volte metaforico: la mendicante bosniaca, l’amore consumato in strada, l’affitto costoso su una terra padrona, il suicida, i carri armati arenati, il filo di sangue che cade dal cielo, il cianuro in fondo all’europa (scritta così, senza l’iniziale maiuscola). C’è anche l’amore in quanto esperienza personale. Un amore disperato, nostalgico, di qualcosa che non è più ma che vorrebbe continuare ad essere.

Queste, così come le altre, sono visioni subitanee, effimere, urgenze interiori che la penna sensibile deve cogliere e trasformare in poesia per non soccombere sotto il peso della realtà. A questo scopo va bene anche il primo pezzo di carta che capita sottomano: “scrivo i miei poemi / sui biglietti di parcheggio / il tubo con nebbia / si è rotto sulla città”. Dunque momenti poetici rubati di corsa alla vita. Come faceva l’avvocato Edgar Lee Masters quando scriveva la sua Antologia di Spoon River seduto sui sedili di un tram, circa un secolo fa.

Non è pertanto cambiata l’esigenza di chi fa poesia, l’aspirazione di conciliare il disagio di appartenere a un mondo inaccettabile e la necessità di trovare un equilibrio interiore. Ma l’unica cosa accertata è che per un poeta la poesia, bene o male, è l’unico strumento di sopravvivenza. Recita l’ultima lirica di Paradiso riassunto: “in fondo all’europa / piove cianuro / due pazzi / suonano la sveglia del pianeta / io continuo a scrivere poesia / come se nulla fosse successo”.

Romano Augusto Fiocchi

(Eliza Macadan, Paradiso riassunto, Edizioni Joker, 2012, pagine 70)

Fonte: TuonoNews

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