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domenica 2 giugno 2013

I villaggi senza madri della Romania


infanzia

Sono 350mila gli “orfani bianchi” in Romania, minori che vivono con nonni, zii, vicini o istituti mentre i genitori lavorano all'estero come muratori e badanti. Metà di loro ha meno di 10 anni, molti sviluppano forme di depressione o iperattività e rifiuto delle regole. A dar loro voce è il libro "Satul fara mamici. Il villaggio senza madri": oltre all'intervista all'autrice, Ingrid Beatrice Coman, D.it propone in esclusiva uno dei 10 racconti del libro, pubblicato integralmente in due lingue.
Di Ilaria Lonigro

Villaggi senza madri L'Autorità Nazionale Romena per la Protezione dei Bambini ne conta 82.464, ma per l'Unicef sono di più, 350.000. Tanti comunque da destare l'attenzione dei media internazionali e meritarsi l'etichetta di "orfani bianchi": così sono chiamati quei minori che vivono con i nonni, gli zii, i vicini o sono accolti dagli istituti mentre uno o entrambi i genitori lavorano all'estero, muratori e badanti per le famiglie italiane e spagnole. In Romania, dove il reddito medio è di 555 euro al mese (dati Agenzia Nova), sempre più genitori, per garantire maggiori entrate alla famiglia, sono costretti ad andarsene. Solo in Italia, tra il 2010 e il 2011, si è avuto il 10% di residenti romeni in più (dati
Istat). Quando è una mamma a lasciare il figlio, in quasi la metà dei casi non è neanche il padre a crescerlo, ma altri parenti. A dirlo è "Left Behind", il dossier sugli orfani bianchi romeni pubblicato nel 2010 dalla Fondazione L'Albero della Vita Onlus, secondo cui è orfano bianco il 7% dei minori romeni: 157.000 sono senza papà, 67.000 senza mamma, mentre a 126.000 bambini mancano entrambi. Metà di loro ha meno di 10 anni quando resta solo. Non stupisce che molti sviluppino forme di depressione o al contrario iperattività e rifiuto delle regole, come scrive nel dossier la psicologa Antonella Selvaggio. Il fenomeno, esploso nel 2007 con l'ingresso del Paese nell'Unione Europea, colpisce in particolare le campagne Qui capita che i bambini, per assistere i nonni nelle faccende domestiche o nella cura degli animali, lascino la scuola. A dar voce all'angoscia di queste migliaia di bambini arriva il libro "Satul fara mamici. Il villaggio senza madri" (159 pp., Rediviva edizioni), quinto romanzo della scrittrice romena naturalizzata italiana Ingrid Beatrice Coman, che con dolce e sapiente retorica ci spalanca le porte dei pensieri silenziosi dei bambini che vedono "l'estero" come un "mostro lontano e feroce". A D.it Ingrid racconta cosa c'è dietro ai 10 racconti che formano il libro (ciascuno scritto in italiano e romeno) e cosa devono imparare due Paesi da queste storie.

I villaggi senza madri della Romania

di Vintila George

Esiste fisicamente un villaggio senza madri o ti sei ispirata alle storie che accomunano tanti luoghi? No, non esiste un villaggio specifico, ce ne sono tanti, troppi, sparsi in giro per la Romania, ognuno con i suoi piccoli grandi drammi silenziosi. Come spesso succede, la letteratura, la parola scritta in genere, le sublima per portare al lettore una specie di archetipo in cui si possa riconoscere il vissuto di tutti.

Come hai raccolto le tue storie? Non è difficile, basta mettersi in ascolto alle fermate dei pullman che fanno di continuo la spola tra la Romania e l’Italia, dove la gente si imbarca ogni giorno, poche cose in spalla e tante nel cuore, per andare a lavorare in Italia. Lo stesso vale per i treni, gli aeroporti. A volte ci sono delle scene strazianti: bambini che si aggrappano alle mamme, con le manine che diventano come piccole grinfie disperate di uccellini che stanno per cadere fuori dal nido. Vengono tirati via con la forza da chi resta con loro, inconsolabili, spezzati dentro, umiliati da una realtà che non hanno scelto.

Che conseguenze hanno su questi bambini? Ciò che dentro di loro è crollato in quella separazione a volte lo si capisce soltanto mesi, anni dopo, spesso attraverso gesti disperati o comportamenti insoliti. È difficile immaginare un bambino che non ami la vita. Eppure ci sono bambini che decidono di farla finita. Ho sempre pensato che il suicidio fosse una scelta adulta. Ho dovuto ricredermi. I bambini imparano in fretta anche in questo, e i casi di suicidio tra i bambini rimasti a casa sono sconvolgenti, tanto da indurre lo stato romeno a cambiare le leggi. E anche tra quelli che non hanno fatto una scelta così drastica, la voglia di vivere si appiattisce, diventano apatici e introversi, alcuni quasi autistici. Lo strappo è doppio però. Nessuno sa di che morte muore il cuore di una donna che deve lasciare il suo bambino per poterlo salvare. È un paradosso dei nostri giorni: le donne vanno ad accudire le famiglie altrui per poter salvare le proprie, ma il prezzo da pagare è sempre spropositato. Entrambe le società hanno dei conti in sospeso con la vita.

Cosa devono capire allora da questo libro gli italiani e cosa i romeni?
Se smettessimo di giudicarci a vicenda e di puntare il dito, magari riusciremmo a lasciare spazio a una maggiore comprensione. Mi colpisce molto il fatto che in Italia gli anziani vengono accantonati su binari morti, in "pulita" e silenziosa attesa della propria fine. Pare che non servano più a nessuno, non abbiano più niente da insegnare. Non più saggezza né lezioni di vita. Mentre, dall’altra parte di questa storia, come uno specchio al contrario, in Romania i nonni vengono sempre più richiamati a sostituire le madri partite a lavorare all’estero e devono farsi forza e rimettersi in gioco per accudire chi è rimasto indietro. A volte entrano così bene nella parte che dopo un po' i bambini cominciano a chiamarli "mamma" e "papà", non più nonna e nonno.

Fonte: D La Repubblica

1 commento:

Anonimo ha detto...

Non è assolutamente vero ( anzi è totalmente falso), che D.it consente la lettura del primo capitolo del libro. Se qualcuno ci riesce mi dica come ha fatto.

Gabriele Roma.

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