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sabato 2 maggio 2020

Victor Stoichita, l’Europa in cornice

Victor Stoichita
di Andrea Cortellessa
28 aprile 2020

Homo Europæus dalla cima dei capelli alla punta delle scarpe, anche fisicamente Victor Ieronim Stoichita pare provenire da un altro tempo. Impeccabilmente, invidiabilmente parlante tutte le lingue del Continente (il suo italiano è stupefacente), è oggi fra i maestri assoluti di una disciplina, la storia dell’arte, che per sua natura abbraccia uno spazio al di là di tutte le lingue e tutte le frontiere. L’Europa in cui è nato (nel 1949 a Bucarest), quella in cui ha scritto (principalmente in francese) e insegnato (dal 1991 all’Università di Friburgo, in Svizzera) sono state, nel tempo della sua formazione e della sua maturità, per antonomasia il luogo dell’apertura e del dialogo. Lo ricorda lui stesso, in abbrivo alla bellissima conferenza (colla quale ha inaugurato nel 2018 il corso di Cultura Europea che è stato invitato a tenere al Collège de France) su Les Fileuses de Velázquez. Textes, textures, images (Fayard, pp. 52, € 12): l’etimologia di «Europa» viene da due parole greche, eurýs («largo, esteso in lontananza») e óps («sguardo, occhio»), sicché rinvia a uno sguardo esteso. L’Europa ha occhi vasti e profondi: proprio come quelli – abbaglianti di celeste – con cui Stoichita mi guarda, lievemente divertito ma dai modi sempre squisiti, mentre squaderno i suoi libri (una piccola parte dei suoi libri) sul tavolo dell’albergo romano in cui ci siamo dati appuntamento, e che ha un nome inevitabile: Hotel Cosmopolita.

L’occasione della sua visita è stata la ricca mostra su Ovidio alle Scuderie del Quirinale, ed è stato anche festeggiato dall’Accademia di Romania: cioè il luogo in cui risiedeva quarant’anni fa, quando studiava con Cesare Brandi. Di quella residenza a Roma, risultata poi davvero decisiva, si favoleggia a lungo nel primo volume della sua autobiografia, uscito nel 2014 da Actes Sud e ancora non tradotto da noi: il titolo, Oublier Bucarest, suona duro colla propria terra d’origine (ma forse solo per un lettore italiano). Il volume successivo, proprio sugli anni passati in Italia, Stoichita lo sta scrivendo nelle pause dei suoi vagabondaggi, delle sue mille conferenze e seminari. Una vita da clericus vagans, invidiabile quanto inattuale: in lungo e in largo per un continente che all’improvviso rialza muri e dazi, frontiere che ci eravamo illusi di esserci lasciati alle spalle e che, solo qualche decennio fa, hanno sparso il sangue di milioni di europei. L’albergo in cui chiacchieriamo si trova a due passi da Piazza Venezia: qui fu dichiarata una guerra che il paese in cui ci troviamo lo uccise, quasi. La prima cosa che gli chiedo è quanto l’Europa di oggi sia ancora quella della sua giovinezza, e cosa abbia ancora da insegnare al «mondo grande e terribile» di cui parlava Gramsci. [...] Continua su Doppiozero ...

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