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domenica 26 febbraio 2012

La grotta come casa per 300 fantasmi. Morta una clochard

Maltempo L' emergenza Il caso
Il mondo sotterraneo delle caverne rivestite di plastica e cartone

ROMA - Morire in una grotta al Trullo mentre fuori nevica. La lenta agonia sul letto matrimoniale, respirando a fatica guardando un soffitto di tufo imbottito di gommapiuma e cartone. Cornelia Mancu, romena di 42 anni, è l' ultima vittima degli stenti e dell' abbandono nella Capitale. E poco importa se questa volta - dopo i due clochard assiderati nella pineta di Ostia - il freddo non c' entra: il referto del medico legale intervenuto giovedì sera nell' anfratto di via Orciano Pisano, a Monte Cucco, certifica che a uccidere la quarantenne è stata un' emorragia gastrointestinale, forse l' abuso di alcol secondo i carabinieri, ma non attenua di certo una realtà da Terzo mondo. In quella grotta, in fondo a un sentiero di rifiuti e sedie rotte, Cornelia viveva con il compagno e due connazionali, tutti manovali: sono stati loro a trasformare la caverna in un' abitazione di fortuna, in un riparo umido e riscaldato, con il fuoco assicurato dalle bombole di gas. Un mondo sotterraneo, come quello che alcuni immigrati dell' Est hanno creato negli anni scorsi al Prenestino, all' Arco di Travertino, a Tor Marancia, a Torpignattara, al Mandrione. Perfino ai Monti Parioli, dove le grotte sono state chiuse anni fa: ci vivevano ex ingegneri, ex militari, ex rifugiati. Oltre alle baraccopoli, agli insediamenti abusivi sul Tevere e sull' Aniene, anche le grotte sono luoghi di disperazione. E di morte. Si calcola che nelle spelonche romane, nei cunicoli e nelle fungaie che per chilometri si snodano sotto il Prenestino e l' Appio, sopravvivano non meno di 300 persone. Non certo tutti sbandati, ma lavoratori - operai soprattutto -, con il miraggio di un alloggio migliore. Al Trullo Cornelia (che aveva perso da poco padre e fratello) e i suoi amici si erano organizzati perfino con un televisore e un' antenna precaria incastrata fra i rovi all' ingresso della grotta. Un compressore a gasolio forniva l' elettricità, le bombole assicuravano invece l' acqua calda. Poco più in là altri romeni avevano ricoperto il tufo gelido con assi di legno e teloni di plastica: un sistema artigianale per allontanare il freddo che altrimenti li avrebbe uccisi. Cornelia è morta per altre cause, ma legate a una vita precaria, a condizioni igienico-sanitarie al limite della sopportazione, in una Capitale dove nel 2012 esistono ancora numerose realtà di questo tipo. Quella di immigrati costretti a vivere da cavernicoli e a rischiare la vita ogni notte. Nel maggio di tre anni fa proprio in una fungaia vicino all' ex campo nomadi del Casilino 900 morì un bambino rom di appena 15 giorni soffocato da un rigurgito e senza soccorsi. Qualche settimana prima, a Torpignattara, un gruppo di romeni si salvò appena in tempo da crollo della volta della grotta nella quale avevano costruito una baraccopoli con decine di posti letto. Poteva essere una strage, anche di bambini, che scamparono alla morte grazie al sonno leggero della madre che si accorse di quello che stava accadendo. Andò peggio a quattro muratori romeni che vivevano nelle fungaie all' Arco di Travertino - quelle dove per mesi venne cercato il corpo del «Pelé» del Quadraro - rimasti intrappolati nell' anfratto dove si era sviluppato un incendio. Morirono tutti, nel cuore della notte, asfissiati dal fumo. Storie di disperazione nelle viscere della città spesso usate anche dalle prostitute per portarci i clienti, dai ricettatori per nasconderci moto e auto rubate, dagli spacciatori, come al Forte Prenestino, per trafficare in droga e dai «caporali» per ingaggiare operai a giornata da pagare in nero. Un mondo maledetto, appunto, che giovedì sera ha fatto morire anche la povera Cornelia.

Frignani Rinaldo
11 febbraio 2012

Fonte: Corriere della Sera

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