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domenica 29 gennaio 2012

Tbc, oltre duecento casi a Torino. Colpite dieci badanti

cronaca21/01/2012 - retroscena

In diversi casi le lavoratrici hanno contratto la malattia ma hanno spiegato di non volere informare i datori di lavoro

alberto gaino
Un dossier sulla Tbc è stato predisposto su richiesta di Guariniello dalle autorità sanitarie. Vi sono raccolti i 201 casi di persone colpite da tubercolosi che nel 2011 si sono presentati a presidi ospedalieri della città e della provincia per farsi curare. Vi sono anche quelli degli studenti della Facoltà di Medicina, di cui tanto si è parlato in questi ultimi mesi e settimane, di dieci badanti di anziani e di una baby sitter. Tutte straniere - 6 su 10 sono romene - e per quest’aspetto il dossier riveste un carattere di novità e di delicatezza.
«Non vorrei che si riducesse a un caso di discriminazione verso gli stranieri» si preoccupa Guariniello che ha colto il profilo della tutela sanitaria di queste lavoratrici e delle persone anziane, spesso colpite da patologie, in qualche caso immunodepresse e con cui le rispettive badanti vivono a stretto contatto. La condizione più favorevole per la trasmissione per via aerea del «mycobacterium tuberculosis».

In provincia di Torino le badanti regolarmente assunte sono 10-12 mila e si stima che almeno altre 6 mila lavorino in nero. I 10 casi di ricoveri ospedalieri del 2011 rappresentano una percentuale infinitesimale e tuttavia sufficiente per far scattare un campanello d’allarme nel segno della prevenzione. Dice Guariniello: «Ho scritto al ministero della Salute per segnalare la questione che non sono eludibili controlli per chi si proponga per un lavoro di assistenza a persone per età cagionevoli di salute».

Resta un problema enorme: il lavoro nero, rispetto a cui è il datore di lavoro il più interessato ad evitare regole e, di conseguenza, documenti sanitari dei «dipendenti». Come il certificato di sana e robusta costituzione che invoca Mohammad Reza Kiavar, dell’Ufficio stranieri Cisl: «Era una cosa intelligente e sino al 1990 lo si chiedeva, serviva a tutelare tutti, lavoratori e padroni. Ma si disse poi che era una discriminazione... Io lo vedo come l’esatto contrario».

Diana Cretu, romena, lavora all’ufficio vertenze della Cgil e si trova ogni giorno a contatto con le reali scelte discriminatorie che patiscono queste lavoratrici. Per cominciare, dice: «So che qualche famiglia chiede il certificato di sana e robusta costituzione a chi assume, ma la maggior parteno. Uno dei motivi: tanti preferiscono far lavorare in nero le badanti cui si rivolgono, non si preoccupano d’altro».

«So - aggiunge - di 2-3 casi di lavoratrici straniere con la Tbc che si erano presentate da noi. Avevano paura di essere licenziate. Anche altre con patologie più gravi tendono a non andare in ospedale sapendo di non potersi assentare dal lavoro per mesi, a volte si ammalano contagiate dalle loro assistite e non dicono niente nemmeno in quei casi. E’ un cortocircuito in cui ci rimettono tutti».

Le relazioni epidemiologiche sui singoli casi del dossier confermano lo spaccato di paure, diritti compressi, salute a rischio. Si legge in una scheda compilata in un presidio sanitario: «La signora non sa dire se riferirà delle sue condizioni al datore di lavoro». Un altro caso: «La paziente ha informato la famiglia ma le è stato detto di non farne il nome». La baby sitter ammalatasi «non aveva informato la famiglia presso cui lavorava se non dopo il ricovero. La madre della bimba era in stato di gravidanza». Le dieci badanti e la baby sitter sono una goccia dei 201 casi di Tbc riscontrati, ma va colto il segnale.
Fonte: La Stampa

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