del Disagiato
Un paio di settimane fa sono andato a cena a casa di mio fratello e di Angela, la sua compagna. Angela, che è rumena (vive in Italia da dieci anni), ha preparato una squisita zuppa rumena, che è una piatto, mi ha detto lei, che ha un’antica tradizione e che è fatto essenzialmente di carne (ma non tutti mettono la carne) e verdure. Ci siamo seduti a tavola, alla domanda “allora, cosa ci racconti?” io ho risposto “il solito tran tran” e poi, sinceramente non so come, ci siamo messi a parlare di politica. Forse siamo arrivati lì, a quel discorso, quando io ho parlato di crisi economica (“in negozio non ci sono più i guadagni di una volta”, devo aver detto) e di tasse. Ecco, deve essere dopo certe affermazioni che ci siamo messi a parlare di politica e di modi di stare al mondo.
Allora Angela, a un certo punto della conversazione, mi ha detto che in Romania, in questi anni, non si sta affatto bene. “Se qui c’è crisi economica, là da me si sta peggio”, mi ha detto. E dopo questa affermazione io ho detto una di quelle cose che adesso, mentre scrivo, mi sembra davvero banale e che si dicono forse solo davanti a una ragazza rumena che ha appena preparato una zuppa rumena e cioè ho detto: “Beh, però meglio di una volta, immagino”. “Con una volta intendi dire quando c’era Ceausescu?”, mi ha chiesto. “Beh, sì, intendevo dire questo”, ho risposto.
Angela, riempiendosi il cucchiaio di zuppa, ha fatto una faccia un po’ contrariata, la faccia di chi vorrebbe dire una cosa ma poi non la dice per non innervosirsi o per non rovinare la cena a nessuno con discorsi forse troppo impegnativi o, diciamo, pesanti. Sta di fatto che poi quella cosa me l’ha detta. “Guarda che quando c’era Ceausescu….”, ha incominciato a dirmi, “I treni arrivavano puntuali”, ho terminato io. E Angela mi ha sorriso, visto che è una ragazza che accetta con leggerezza le provocazioni. “No, i treni magari non arrivavano puntuali, però c’era disciplina”.
E questa cosa della disciplina mi ha fatto mettere il cucchiaio nel piatto e rizzare la schiena. “Cioè, cosa intendi per disciplina?”, ho chiesto, e lei mi ha raccontato che in Romania da quando non c’è più Ceausescu i ragazzi, ragazzi anche giovanissimi, si ubriacano tutte le sere, che circola moltissima droga, che l’autorità dei genitori si è indebolita molto, che le scuole sono “nel caos” e che, insomma, “tutti sono alla sbando”. “La dittatura non era una bella cosa”, ha proseguito, “però c’era più ordine”. Angela mi ha poi detto che il dittatore e sua moglie non dovevano morire in quel modo e che il processo a Ceausescu era tutta una finzione. “Sono morti come cani”, ha detto con occhi tristi Angela. E vi giuro che quelli erano occhi tristi, credetemi.
E io, davanti a quella buonissima zuppa, ho ripensato a una cosa che ogni volta che la rivedo mi fa pietà e cioè alla faccia di Ceausescu quando il popolo, sotto la terrazza del palazzo presidenziale dove lui doveva parlare, lo fischia. Ecco, lo so che è sbaglaito ma quella faccia mi fa venir voglia di pensare che il cattivo non era lui ma il popolo. E ad Angela ho raccontato di quella faccia e di quella strana pietà e allora anche lei (lei che in Romania è nata e cresciuta) ogni volta che ricorda quel momento dei fischi prova la stessa cosa. “Lui era un dittatore, però amava il suo popolo”. Ecco, un dittatore che amava il suo popolo, mi ha detto Angela. “Lui era un uomo che alla ricchezza personale non ha mai unito la cultura. È questo che l’ha fregato”, ha aggiunto Angela per poi dirmi che una volta nel suo paese c'era poco ma per tutti, che non c’erano così tanti alcolizzati e drogati. E che c’era rispetto. E che c’era ordine. E che non c'era così tanta droga. E che non c’era così tanta prostituzione. Non come adesso.
Fonte: Sempre un po’ a disagio
giovedì 8 dicembre 2011
Davanti a una zuppa rumena
Pubblicato da
Anonimo
alle
18:01
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