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sabato 21 aprile 2012

Dolori e ritirate degli “Orfani bianchi”

I figli delle badanti, in generale degli emigranti, sono costretti in Romania a vite segnate da solitudine e sensi di colpa. Un computer li aiuterà?

Daniela Palumbo - Scarp de' tenis
20 Aprile 2012
Foto fonte: balcanicaucaso.org

Scarp de' Tenis - Le madri degli orfani bianchi soffrono della “sindrome della badante”. I medici italiani la definiscono da tempo in questo modo. In Romania, invece, è conosciuta come “sindrome Italia”. È una malattia, può essere chiamata come meglio si crede: in realtà, è di una mancanza che si parla, un vuoto pesante che ci si porta dietro, un macigno che trascina nella morsa della depressione. Una madre senza il figlio, un figlio senza la madre. È tutto qui. Due sofferenze indicibili, inarrivabili. Una sofferenza che, nei casi estremi, provoca addirittura morti.

Perché questi bambini soli, e invisibili, arrivano a suicidarsi. «Non è solo la mancanza a far scattare la tragica ritirata, è il senso di colpa – racconta Silvia Dumitrache, presidente dell’Associazione donne romene in Italia, Adri Onlus –. Lo hanno spiegato abbondantemente gli psicologi. Se la mamma si allontana per lavorare e inviare soldi a casa, il bambino si sente responsabile dell’assenza. Sa che è per lui, anzitutto, che la mamma è lontana. Il suicidio, paradossalmente, diventa un modo per far tornare la mamma, per far cessare il senso di colpa e abbandono».
Figli della diasporaUno degli ultimi casi risale al settembre scorso: ad Arad, Romania occidentale, Monica, una bambina rimasta sola in patria con il padre, a causa della depressione per la mancanza della madre, non si è più alimentata. E si è lasciata morire. Aveva 10 anni. La storia ha fatto scalpore in patria: la madre di Monica è stata colpevolizzata insieme a tutte le madri che, secondo buona parte dell’opinione pubblica, non si preoccupano a sufficienza dei figli rimasti a casa. Un parlamentare romeno ha proposto un disegno di legge che prevede una multa per i genitori che lasciano il paese senza aver affidato i figli a un legale rappresentante In realtà, nel paese dell’Europa orientale esiste già una legge che obbliga i genitori a nominare un tutore legale prima di lasciarli. Ma non è prevista nessuna sanzione, dunque nessuno lo fa.

«Attualmente – racconta Silvia Dumitrache, che è in Italia da nove anni, insieme al figlio, ma ha ancora diversi parenti in Romania, fra cui la sorella – sono le donne romene a essere richieste all’estero, non certo gli uomini, che invece perdono sempre più spesso il lavoro a causa della crisi economica. Le donne fanno le badanti o le colf, in quel settore il lavoro non manca». E così, in patria, i bambini vengono accuditi dal genitore rimasto, o da una zia, altre volte dai nonni, nei casi più gravi da un vicino o da un fratello maggiore. Ma la mancanza della madre è un dolore costante. Molti, pur non arrivando al suicidio, non si nutrono regolarmente, hanno uno scarso rendimento scolastico e sono depressi. Altri preferiscono la strada alla scuola e frequentano compagnie pericolose. Spesso non c’è altro, per questi figli della diaspora romena. «E a volte, paradossalmente, è meglio così – sospira Silvia Dumitrache –. Mia sorella, che vive ancora in patria, mi racconta che legge continuamente di notizie agghiaccianti sulle bambine: padri che violentano le figlie e che le tengono come sostitute della moglie lontana. Ragazze avviate alla prostituzione dai parenti ai quali sono state lasciate».

Incontrarsi in skype Anche nell’Adri onlus ci sono tante donne badanti. «Una di loro telefona a casa tutti i giorni alla stessa ora – racconta Silvia – per aiutare la figlia di 9 anni a fare i compiti, perché altrimenti se non fa tutto bene il padre la picchia e la bambina è terrorizzata». L’ultima storia che Silvia ha letto sui quotidiani romeni, ai primi di gennaio, è quella di un padre romeno «che ha ucciso il figlio di 7 anni e poi si è suicidato, perché la madre che faceva la badante in Italia aveva promesso di tornare a casa per le feste di Natale, ma all’ultimo momento non è andata».
Silvia è arrivata in Italia nove anni fa, per curare il figlio che soffriva di una malattia cronica. In Italia ha trovato ottimi medici, suo figlio adesso vive; in Romania le avevano dato cinque anni di vita. Silvia faceva la giornalista in un piccolo giornale autofinanziato, oggi in Italia si accontenta di fare la segretaria in uno studio medico, ma almeno il figlio è salvo. Però a starle a cuore sono anche quegli oltre 350 mila bambini (a tanto ammontano gli “orfani bianchi” romeni, secondo dati Unicef) privati dell’affetto della mamma. Silvia ha un sogno, quello di aiutarli a non sentirsi colpevoli della lontananza della madre. Il progetto che sta cercando di realizzare si chiama “La mamma ti vuole tanto bene”. «Lo scopo del mio progetto è la condivisione fra madre e figlio. Una consapevolezza reciproca del legame che non si spezza, nonostante ci sia la distanza a separare. È importante coinvolgere il bambino nelle scelte adulte. Ho pensato di coinvolgere le biblioteche pubbliche, perché in Romania sono ancora efficienti e tutti vi possono accedere. Dunque, nelle postazioni internet delle biblioteche romene e italiane, bambini e mamme potrebbero ritrovarsi, in luogo sicuro e assistito, a parlare al computer, tramite skype. Ovviamente bisogna prevedere un percorso di sostegno e accompagnamento del bambino, che cominci prima di skype e non finisca quando il bambino torna a casa, solo: occorrono figure diverse (assistente sociale, psicologo ecc.) che interagiscano fra loro e con i soggetti presi in carico». Il progetto, intitolato “Te iubeste mama”, è piaciuto al comune di Milano, in particolare all’assessore alla cultura, Stefano Boeri, tanto che è stato avviato l’iter per la convenzione di un anno con le biblioteche meneghine. «Credo che riusciremo a partire con la prima sperimentazione a inizio maggio – spiega Stefano Parise, dirigente del settore biblioteche –. Inizialmente ne saranno coinvolte quattro (Baggio, Crescenzago, Gallaratese e Fra Cristoforo), è però prevista l’estensione graduale all’intero sistema bibliotecario milanese e, se riusciremo, anche ad altri sistemi della provincia. Grazie alla collaborazione con l’Associazione romeni in Italia sarà possibile garantire sostegno psicologico alle donne che faranno uso del servizio. E l’Associazione italiana biblioteche sta definendo un protocollo d’intesa con l’associazione dei bibliotecari romeni per diffondere il servizio. Le biblioteche stanno cercando di aprirsi maggiormente al territorio, affiancando alle loro funzioni tradizionali (studio e lettura) altre funzioni sociali. E in questo caso il valore sociale dell’iniziativa è enorme». (www.teiubestemama.it)
Lo psicologo: Piccoli “lasciati indietro”: «Sono incapaci di futuro» Left behind, “lasciati dietro”. Sono definiti così i bambini che altri chiamano “orfani bianchi” di genitori costretti, per ragioni economiche, ad abbandonare il proprio paese. E con esso la propria famiglia. Il fenomeno è noto da tempo, e in molti paesi dell’Europa dell’est continua a far registrare dati, storie, effetti sociali drammatici.
L’intervento delle strutture pubbliche spesso sono sporadici e inconcludenti. Qualcosa si tenta di fare tramite progetti transnazionali, che vedono collaborare sigle non governative. È il caso di L’Albero della Vita, associazione italiana che lavora nella Moldavia romena dal 2009, avendo come partner l’ong romena Associazione alternative sociali (Aas): insieme gestiscono il progetto Home Alone (“Solo a casa”), che interessa 60 bambini e ha l’obiettivo di ridurre gli effetti negativi della migrazione dei genitori.
Gli interventi mirano a fornire supporto educativo, psico-sociale e materiale a minori con uno o entrambi i genitori all’estero, promuovendo azioni di orientamento, di prevenzione dell’abbandono scolastico, di sviluppo di competenze e dell’autostima. Tra gli obiettivi c’è anche quello di fornire supporto alla famiglia estesa o a chi, comunque, si sta prendendo cura dei bambini. Ciò significa lavorare con nonni, zii o parenti e conoscenti, per aiutarli nell’esercizio della funzione genitoriale e sostenerli nella pianificazione del futuro della famiglia. Infine, significa lavorare coi genitori all’estero, sollecitandoli a mantenere o migliorare la comunicazione coi figli.

Luca Catalin è psicologo, e presiede Aas. Ha idee chiare sui devastanti effetti psico-sociali della migrazione dei genitori sui bambini left behind.
«L’assenza di un genitore o di entrambi – spiega –, e soprattutto le modalità attraverso le quali viene preparata la partenza e poi gestita la lontananza, favoriscono l’insorgere nei bambini di stati predepressivi. Soprattutto il non essere coinvolti nelle decisioni che precedono la partenza del genitore genera un senso di abbandono e inadeguatezza. I bambini arrivano a pensare di essere abbandonati e che non ci sia nessuno che può aiutarli a risolvere i problemi. Psicologi e specialisti che lavorano con famiglie “transnazionali” confermano che la conseguenza più comune è l’assunzione di un atteggiamento di chiusura e di apparente indifferenza. Anche le principali attività della vita del bambino, come la scuola, sono affrontate con distacco: il bambino manifesta disturbi dell’attenzione, assenza di prospettive sul lungo termine, incapacità di proiettare una visione futura di sé».
Un’altra conseguenza grave è il rischio che il piccolo assuma comportamenti devianti (abuso di sostanze, atti di bullismo, microcriminalità). «E purtroppo – riconosce Catalin –, come testimoniano recenti episodi di cronaca, alcuni bambini left behind arrivano addirittura ad atti estremi, come il suicidio o il lasciarsi deperire fino alla morte. Si tratta di casi in cui l’assenza dei genitori
ha predisposto a uno stato depressivo, aggravato da condizioni esterne, come la povertà della famiglia, o da gravi abusi fisici e psicologici».

I nonni? Studiano da educatori…
Storie di famiglie segnate dalla lontananza. Il cui baricentro sono spesso gli anziani. Uno dei due spezzoni della famiglia Durea è composto da tre bambini (13, 11 e 9 anni): loro vivono in Moldavia, la mamma lavora in Italia da tre anni. All’inizio i ragazzini sono rimasti con il papà, poi l’uomo ha cominciato a lavorare in Russia, saltuariamente, come operaio edile. Durante i periodi della sua assenza, sono stati affidati a un parente lontano.
A un certo punto la scuola ha segnalato agli assistenti sociali che i bambini mostravano comportamenti devianti, con segni di malessere. In più, il bambino minore aveva frequenti crisi epilettiche, senza essere però in trattamento terapeutico. Così, gli assistenti sociali di Aas hanno preso in carico la famiglia. E hanno scoperto che i bambini non avevano più contatti con la mamma da oltre un anno e che il padre era via, ma non riusciva a trovare lavoro. Ma soprattutto che i bambini, durante le assenze del padre, erano abusati fisicamente dal parente a cui erano affidati, che inoltre li picchiava e imponeva loro lavori domestici pesanti. Il bambino più grande aveva iniziato a manifestare aggressività, che sfogava giocando d’azzardo e marinando la scuola. Gli assistenti sociali, allora, hanno lavorato su alcuni punti importanti: far rientrare definitivamente il papà per farlo vivere con i bambini, grazie all’inserimento lavorativo nel locale ufficio di collocamento; quindi ripristinare il rapporto fra i piccoli e la mamma; sostenere i bambini di 13 e 11 anni (i quali hanno ripreso la scuola in modo continuativo); infine far prendere in carico all’assistenza sanitaria locale, il bambino più piccolo che soffre di epilessia. Oggi, il clima in casa Durea è molto migliorato.

Ha venduto l’appartamento. Un’altra famiglia sostenuta nella Moldavia romena dal progetto Home Alone è composta da due bambini, fratello e sorella di 10 e 12 anni, che vivono con la nonna anziana, mentre la mamma lavora in Italia. Il papà li ha abbandonati fin da piccoli e attualmente si trova in carcere. La nonna e i bambini vivono in un appartamento di una stanza e un bagno, in un quartiere popolare di Iasi, capitale della Moldavia. La mamma, dall’Italia è molto presente, chiama i bambini sul computer tutte le sere. Ma la nonna e i piccoli non sanno che lavoro faccia la madre e in quale città vive. La nonna racconta che tutti i suoi figli sono andati a lavorare all’estero. Per aiutare i nipoti rimasti, lei ha venduto un bell’appartamento in cui aveva vissuto con il marito, ora defunto, e si è trasferita nelle case popolari. La sua principale preoccupazione è l’educazione dei bambini: per accudirli al meglio è andata a scuola dagli insegnanti e ha chiesto loro se può andare ogni tanto a sentire le lezioni, perché altrimenti non saprebbe come sostenerli nei compiti a casa. Così è diventata una risorsa anche per il progetto: poco prima dell’inizio della scuola, ha organizzato nel centro diurno dove frequentano i bambini frequentano il doposcuola (il centro Don Bosco di Caritas Iasi) un incontro con gli altri nonni per organizzare una sorta di gruppo di muto-aiuto: condividere esperienze e difficoltà di crescere i bambini a loro affidati, aiuta a sostenere meglio il ruolo di “genitori di fatto”.

Fonte: Piattaforma Infanzia

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