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giovedì 28 ottobre 2010

Generazione Ceausescu, cronaca di un dramma

Mer, 27/10/2010 Cultura Gabriela Adamesteanu Romania
Simona Maggiorelli

INTERVISTA. Punto di riferimento in Romania nella battaglia per la tutela dei diritti civili, la grande scrittrice, saggista e giornalista Gabriela Adamesteanu è in Italia per presentare "L’incontro", pubblicato per Nottetempo.
Voce tra le più autorevoli della cultura romena contemporanea, la scrittrice, Gabriela Adamesteanu è in questi giorni in Italia per presentare uno dei suoi lavori più importanti, L’incontro, scritto nel 2007 e ora finalmente pubblicato in Italia dall’editore Nottetempo nella traduzione di Roberto Merlo. Al centro del romanzo la vicenda del biologo esule Traian Manu che, ormai cittadino italiano, viene invitato dal regime di Ceausescu a tornare in Romania per tenere delle conferenze. Atterrato all’aeroporto di Bucarest, Manu si troverà davanti un mondo kafkiano, di burocrazia invischiante e di ufficiali spie. Pagina dopo pagina, ne L’incontro, emerge così il bruciante affresco di un paese ferito a morte dalla dittatura. Una distruzione che anche sul piano culturale Gabriela Adamesteanu ha cercato di “ curare” lavorando con il gruppo dissidente Ngo (Gruppo per il dialogo sociale), nato dopo la rivoluzione del 1989 che ha posto termine alla dittatura di Nicolae Ceausescu. ma anche attraverso il suo impegno di scrittrice e di caporedattrice del supplemento letterario del quotidiano Bucurestiul Cultural. Abbiamo colto l’occasione della presentazione de L’incontro al Pisa Book festival per conoscere più da vicino il suo lavoro.

Gabriela, in questo libro, il protagonista Manu, fuggito dalla Romania, trova una nuova vita in Italia. C’è un ricordo, per quanto trasfigurato, della storia di suo zio Dinu, celebre archeologo?
Mi sono resa conto negli ultimi tempi che L’incontro spesso dà ai lettori l’impressione di essere molto più autobiografico di quanto in realtà non sia. La storia del romanzo, tuttavia, così come il profilo dei personaggi (Traian Manu, sua moglie la tedesca Christa, il giovane nipote Daniel, gli ufficiali della Securitate che lo sorvegliano e così via), è completamente inventata. D’altra parte, il tema dell’esilio e dell’emigrazione mi è stato suggerito certamente dall’esperienza di mio zio Dinu, archeologo italiano di origine romena, ma anche da quella di grandi scrittori e pensatori romeni dell’esilio, come Ionesco, Eliade e Cioran, nonché dall’esperienza concreta di amici e conoscenti. Ho letto i documenti originali del tempo per ricreare il linguaggio particolare della Securitate, ma li ho rielaborati e riscritti per incorporarli nella costruzione letteraria. Allo stesso modo sono partita da alcuni dati reali per raccontare una condizione generale umana, quella dell’Ausländer, del meteco, dell’esule, dell’immigrato, attraverso cui sono passati e continuano a passare innumerevoli persone. E poi ho anche voluto raccontare le illusioni di questa condizione, tanto di coloro che partono quanto di coloro che restano. Nonché, certamente, qualcosa della Romania dell’ultimo periodo del totalitarismo e del clima di sospetto e di sfiducia che in quegli anni bui pesava su tutto e tutti.

Nuove voci come quella di Dan Lungu (vedi box, ndr) oppure come quella dell’ esordiente Filip Florian testimoniano un quadro molto vivace della letteratura romena oggi. Quali sono i filoni più interessanti, secondo lei?
Agli autori da lei citati vorrei ancora aggiungere alcuni nomi importanti, quali Norman Manea, Mircea Cartarescu, Ana Blandiana, Paul Goma, Petru Cimpoesu e Florina Ilis, tutti tradotti anche in italiano e la cui lettura può fornire una buona prospettiva sul complesso quadro della letteratura romena contemporanea. Sono autori che appartengono a generazioni differenti; alcuni vivono in Romania mentre altri appartengono alla generazione dell’esilio. Come lei osserva, la letteratura romena è oggi particolarmente ricca e vivace: le due direzioni più fertili della prosa mi paiono essere quelle illustrate dai romanzi che riflettono la visione del presente delle generazioni più giovani oppure quelli che analizzano criticamente il passato, in particolare l’ esperienza del totalitarismo. Tra i molti nomi di autori interessanti che potrei citare vorrei ricordare ancora quelli di Dumitru Tepeneag, Stefan Agopian, Radu Aldulescu e Razvan Radulescu.

Leggendo nuovi autori già tradotti in italiano può sembrare che uno stile quasi espressionista, una torsione visionaria del racconto che combina crudo realismo e letteratura fantastica sia un main stream nella letteratura romena oggi. E’ davvero così?
La sua caratterizzazione corrisponde a una parte di realtà. La letteratura romena presenta anche, ad esempio, una vena comico-ironica, che nasce soprattutto dalla capacità di osservare con occhi critici una situazione politica perennemente disastrosa. Sulla scia di un maestro ancora di grandissima attualità, il commediografo e narratore Ion Luca Caragiale. Inoltre, ho l’impressione che la letteratura propriamente fantastica sia oggi da noi meno presente, oscurata forse dalla volontà di essere presenti qui e oggi, nella concretezza del presente: il maestro indiscusso di questo genere, comunque, resta senza dubbio Mircea Eliade, studioso e scrittore ben noto anche al pubblico del vostro paese.

Quanto al suo lavoro di giornalista impegnata nella società civile può raccontarci qualcosa dell'esperienza di Rivista 22, l’unica rivista indipendente della Romania post-decembrista?
Per me, nel periodo in cui ho diretto la Rivista 22, dal settembre del 1991 al maggio del 2005, a dire il vero il problema principale è stato quello di trovare i mezzi economici necessari a garantire l’ indipendenza della rivista, che ha sempre tenuto un atteggiamento estremamente critico nei confronti delle forze di governo. È esistito un certo supporto dall’opposizione, che però negli anni 90 da noi cominciava appena a delinearsi. Altrettanto difficile è stato cercare di evitare la “manipolazione”, ovvero riuscire a distinguere chiaramente tra l’interesse della rivista e gli interessi personali dei suoi collaboratori. Alla fine, questi sono stati anche i motivi che mi hanno portato a concludere l’esperienza della direzione di Rivista 22, il che è stato tuttavia anche un bene poiché sono tornata alla letteratura, con i romanzi L’incontro e Provizorat (Provvisorietà, ed. 2010) e con la traduzione dei miei libri precedenti in altre lingue, a partire da Matinée perdue (ed. Gallimard, 2005).

Come è vista l’Italia dalla Romania oggi? E cosa pensa del reato di clandestinità creato in Italia dal governo di centrodestra e delle dure politiche di respingimento degli immigrati che sono in atto?
I Romeni oggi sono fortemente attratti dall’Italia, come dimostrano non solo il grande numero di immigrati che hanno trovato un posto di lavoro in questo paese ma anche il fatto che l’Italia, dopo l’Austria, è la meta turistica più amata dai romeni della middle e upper class. Mi pare evidente che la creazione di un reato di clandestinità rappresenti piuttosto una manovra politica a fini elettorali che non una soluzione reale dei problemi sollevati dal fenomeno migratorio. Certamente quel settore della politica dimentica che anche l’Italia è stato - e si avvia nuovamente ad essere, per quanto ho potuto capire, soprattutto nel caso della fuga dei cervelli - un Paese di emigranti verso paesi dalle condizioni economiche più promettenti, che ha a sua volta dovuto confrontarsi, sul banco degli accusati, con i pericoli della semplificazione e della manipolazione dell’immaginario. Certo, alcuni individui già in rotta con la legge possono aver commesso atti imperdonabili, ma il giudizio chiaramente e giustamente negativo espresso nei loro confronti non deve essere indebitamente esteso a ogni loro connazionale. Di questo è colpevole una politica populista e demagogica nonché certa parte dei media, affamati di sensazionalismo, i quali vanno contro gli interessi stessi dell’Italia dimenticando i vantaggi che molte imprese del vostro Paese hanno tratto dai massicci investimenti in Romania.



I "FAVOLOSI" ANNI NOVANTA
Romania primi anni Novanta. Il Muro di Berlino è caduto da poco e il regime di Ceausescu si è dissolto. In una tranquilla cittadina di montagna, all’interno di un sito archeologico viene scoperta una fossa comune. A chi appartengono le ossa che affiorano dal terreno? E perché le falangi delle loro dita mignole sono sparite? Poliziotti, giornalisti, ex detenuti politici, cittadini si riuniscono intorno al la fossa sfidandosi a colpi di ipotesi bizzarre e surreali, finché dall’Argentina una squadra di antropologi criminali, esperti in “desaparecidos”, è chiamata a esprimere il verdetto finale. Dita mignole (Fazi) è il romanzo d’esordio di Filip Florian. Nella Romania post-Cortina di Ferro è ambientato anche Il paradiso delle galline. Falso romanzo di voci e misteri (manni editori) l’ultima fatica letteraria di Dan Lungu. Sotto le macerie del regime di Ceausescu è rimasto un paradiso chiamato Transizione. È il paradiso dell’irrealtà, sobborgo della storia, dove nulla più accade, tutto si ricorda. Dove gli abitanti di una strada di periferia, di una città di periferia, di un Paese ex comunista alla periferia dell’Europa, sono come galline, che al mattino escono a beccare mangime e lombrichi, e alla sera ritornano al pollaio. Per Lungu, gli eroi del regime di Ceausescu ora sono solo zavorra della modernità. Operai, pensionati, casalinghe evocano vicende più o meno immaginarie del passato, preparano progetti fantasmagorici per il futuro, e intanto bevono vodka e acquavite, ciarlando e beccandosi, stravaccati ai tavoli del “Trattore stazzonato”.

Fonte: Terra

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