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domenica 18 settembre 2011

Il razzismo etnico e sociale dei media italiani

Molti avranno notato, seguendo i telegiornali nazionali, che ogni qualvolta accade un fatto di cronaca, specialmente cronaca nera, se il colpevole (ma anche la vittima) è straniero, ne viene indicata la nazionalità, quando invece per i nobili italici si dice “L'uomo” o “la donna”. Questo naturalmente senza formalmente accusare l'individuo in quanto straniero, ma che nella mente di chi legge il televideo o ascolta la notizia fa passare un messaggio ben diverso. In pratica, se il titolo recita: “Rumeno investe e uccide passante”, il cervello di molti si sintonizzerà sul “Rumeno” generando un pensiero subdolamente xenofobo.

Certo, anche negli Usa si fa, distinguendo persino il colore della pelle (orrore), ma quello che succede da noi è peculiare, in quanto riguarda l'immigrazione che è un fenomeno tutto sommato recente (il grosso degli immigrati risale da 20 anni a questa parte), specialmente per quanto riguarda gli abitanti dell'ex blocco sovietico o fuggitivi dalle zone delle nuove guerre. Se poi l'immigrato è irregolare la cosa assume una valenza ancora maggiore. “Rumeno”, “marocchino” o altri sono indicati come se si dicesse “dobermann” e “pastore tedesco”, instillando la paura dello straniero nelle menti più limitate che poi sono le stesse che danno voti a certe frange delle politica.

NON SOLO GLI IMMIGRATI - Questo fenomeno, se non è tipicamente italiano e accade anche altrove, nel Bel Paese si colora di un tinta particolarmente inquietante: perché ad essere stigmatizzati non sono solo slavi, albanesi e africani, ma anche i nostrani “disoccupati” o, più elegantemente, “senza lavoro”, specialmente se sopra i 30 anni. Quando avviene un omicidio magari in famiglia, spesso si sentono frasi del tipo: “L'uomo, un disoccupato (leggi: “un marziano”), ha ucciso...”. Questo modo di definire i protagonisti di un fatto di cronaca, è indice di un metodo per plasmare le menti affinché, chi non è allineato con lo standard di perbenismo (il proverbiale “onesto cittadino che paga le tasse”) che viene imposto, venga comunque lentamente ma inesorabilmente visto come un corpo estraneo dalla massa che lo esclude in quanto diverso. Il 40enne disoccupato diventa una razza a parte: è quasi un disadattato, quasi un malato mentale che fa paura perché non conduce una vita che tranquillizza chi abita vicino a lui. La sua condizione è un colpa. Non parliamo poi se la persona in questione è un artista senza lavoro fisso o fissa dimora: anatema!

In conclusione, i nostri media fanno spesso una selezione di tutti coloro che non rispondono ad uno standard definito, per cui quando accade un fattaccio, ecco che spunta la caratterizzzione etnica ("albanese", piuttosto che il camionista "ucraino") o sociale (il "disoccupato"). È la macchina della normalizzazione che ci plasma col suo rullo.
10-09-2011
Bertrando Goio

Fonte: NeT1News

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