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domenica 6 settembre 2009

«Sono libero, parlo con i miei film»

Articolo
5 settembre 2009
Intervista a Procacci, il produttore più discusso a Venezia

«Non faceva parte delle mie aspirazioni diventare il personaggio più scomodo del Lido – ma tutto sommato non è neanche fonte di grande preoccupazione: in vent’anni di lavoro non ho mai nascosto né le mie convinzioni né la volontà di parlare di certi temi, fregandomene della loro scomodità», dice serenamente Domenico Procacci, nonostante tre film, uno anche prodotto, gli altri distribuiti dalla sua Fandango siano stati accolti, o addirittura preceduti, da quelle controversie che sono il sale di ogni edizione della Mostra del cinema: parliamo del documentario Videocracy dell’italo-svedese Erik Gandini, che racconta il malcostume ingenerato dal berlusconismo e dalla cultura dell’apparire a tutti i costi; di Francesca, il film rumeno di apertura della sezione Orizzonti, che descrive gli italiani come razzisti, con un personaggio che dà della puttana alla Mussolini e insulta il sindaco di Verona; e infine di Cosmonauta di Susanna Nicchiarelli, che vede protagonista una quindicenne comunista il cui idolo è la prima donna sovietica approdata nello spazio e che passa oggi nella sezione Controcampo italiano, già descritto dalla stampa di destra («senza averlo nemmeno visto», precisa il produttore) come un ennesimo esempio di piagnisteo morettiano vetercomunista.
Come mai ce l’hanno tanto con i film Fandango? E qual è secondo Procacci il filo rosso che lega tre opere così diverse fra di loro? «Sulle polemiche relative a Cosmonauta neanche mi pronuncio, aspettando le argomentazioni più serie di chi l’ha effettivamente visto. Quanto agli altri due film, se ci sono punti di contatto, non sono certo il frutto di una strategia politica », dice Procacci, «anche se Videocracy e Francesca causalmente sono stati presentati al Lido lo stesso giorno. Se invece vogliamo guardarli sotto il punto di vista della denuncia di certi aspetti della società italiana recente, qualcosa in comune c’è, ed è il desiderio di due “stranieri” di mostrare il loro dispiacere nel vedere l’Italia trasformata in un paese intollerante e culturalmente impoverito. Francesca veicola lo stupore del regista, Bobby Paunescu, che vive da qualche tempo da noi, nell’accorgersi che una nazione che è stata il primo investitore in Romania adesso considera i rumeni come il nemico pubblico, generalizzando sulla base di crimini che andrebbero affrontati uno ad uno, senza demonizzare un’intera popolazione. È il frutto di un preciso impegno politico che ha portato alle legittimazione della xenofobia e del razzismo, atteggiamento che trovo vergognoso e oltraggioso della dignità delle persone. Così i Cpt diventano Centri di identificazione e di esplusione, e gli immigrati vengono rimandati indietro, spesso a morire, con procedure sommarie. E la Mussolini si può permettere di dichiarare che i rumeni “hanno lo stupro nel sangue” e la Lega può invitare alla tortura degli immigrati “come forma di legittima difesa”».
Quanto a Videocracy, «non avrebbe affatto quella pericolosità che gli viene attribuita se non vivessimo in un clima di tensione e se non fosse in corso una sempre maggiore restrizione della libertà di espressione: ogni giorno leggiamo di minacce e denunce ai quotidiani italiani e stranieri, assistiamo ad epurazioni a vari livelli. Videocracy mostra come è nato e come si è sviluppato il clima in cui certe notizie non arrivano neppure ai cittadini che guardano solo la televisione ». Sembra quasi il contributo di Procacci alla battaglia per la libertà di stampa che dovrebbe avere la sua espressione più visibile nella manifestazione del 19. «Non sono mai stato iscritto ad alcun partito», confessa Procacci, «ma ho sempre pensato di poter manifestare il mio pensiero attraverso le mie scelte di lavoro. Non ho la presunzione di ottenere chissà quali risultati, e forse alcuni penseranno che io sia parte dell’impoverimento culturale in cui stiamo vivendo.
Ma ognuno ha il diritto di pensarla come vuole, e di dirlo pure ad alta voce: è la democrazia, bellezza».
Paola Casella

Fonte: Europa Quotidiano.

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