Castelfusano, arsi vivi mamma e bimbo di 3 anni
Freddo e fiamme mietono le prime vittime a Roma. Colpiti i disperati che vivono in quelle favelas sparse per la città. Ieri un donna e il suo bimbetto sono morti tra le fiamme a Castelfusano.
Un'altra mamma, anche lei rumena, è rimasta ustionata con le figliolette, di 10 e 11 anni, e il piccolo di quattro in una baraccopoli abusiva a Trigoria. In questo caso i vigili del fuoco sono riusciti a raggiungere la casupola di fortuna in via Alvaro Del Portillo e salvare dalle fiamme, provocate da una candela caduta su una coperta, le tre persone che la abitavano. Tutti sono stati soccorsi al S.Eugenio. Le bambine sono in prognosi riservata ma non in pericolo di via. Meno gravi le condizioni della mamma e del bambino ferito alle mani.
Ha gridato forte Dorina, ha invocato disperatamente aiuto, ha tentato, con tutte le sue forze, di salvare il suo Christian. Ma il muro di fuoco, fumo e morte li ha inghiottiti entrambi. Un'ora dopo negli occhi dei vigili del fuoco c'è tutto l'orrore di una fine straziante. Sono morti così mamma e figlio, 32 e soli 3 anni, nella loro baracca della pineta di Castelfusano, a due passi dalla via Litoranea, in quella casa che li ospitava da soli tre giorni e che avrebbero lasciato oggi. Dorina Preda era venuta a trovare il marito Christian Verbuncu, 40 anni, da poco più di un anno in Italia e operaio nei cantieri di Ostia, dalla lontana Craiova in Romania per trascorrere insieme il Natale.
Ieri il papà alle 6,30 è già pronto a uscire da quelle quattro pareti di cartone e miseria che chiamano casa per andare al lavoro, felice del nuovo impiego. Forse accende il fornellino riempito di alcool che utilizzano per riscaldare l'ambiente, forse lo accende poco dopo Dorina, poi una distrazione, l'attrezzo cade a terra e in un attimo, intorno alle 7,30, la baracca si trasforma in una trappola incendiaria di legno e plastica. A sentire per primi le urla agghiaccianti di Dorina sono i «vicini di casa» che cercano di farsi strada tra le fiamme senza riuscirvi. Poi la richiesta di aiuto al 112. Immediato l'intervento dei pompieri di Ostia che a fatica si fanno strada tra rami e fango con estintori e pale. Mentre il fuoco si spegne, i vigili iniziano a rendersi conto della tragedia.
A terra, tra pezzi di legno bruciati, due corpi torturati dal rogo, irriconoscibili. Papà Christian intanto torna a casa avvertito dai vicini. Le sue urla fendono l'aria fredda e piovosa di un tragico Santo Stefano. Anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno arriva e visita quel che resta della baracca. «Una tragedia terribile - dice - dobbiamo intervenire in modo ancora più incisivo sul problema degli accampamenti abusivi. A Castelfusano si interverrà entro l'estate; era già previsto nel piano della Questura. A gennaio ci sarà un incontro con il Prefetto per concordare un'unica modalità d'azione».
Valeria Costantini
27/12/2008
Fonte: Il Tempo.
domenica 28 dicembre 2008
Muore col figlioletto nella baracca in fiamme
Pubblicato da Catalina Sava alle 17:18
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3 commenti:
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ROMA (28 dicembre) - «Guardo mia figlia adesso e mi chiedo come faccio a spiegarle che stava per morire lei, sua mamma e i suoi fratelli. Che stava per morire dentro una baracca perché suo papà non riesce a trovare lavoro, non riesce a trovare i soldi per affittare una casa. Se non mi fossi accorto delle fiamme ieri, avrei perso tutta la mia famiglia e non me lo sarei mai perdonato». Dumitru Banchu, 35 anni, romeno, da sei anni in Italia, non riesce a darsi pace. Venerdì sera sua moglie Roxana e i suoi bambini di 4, 12 e 13 anni hanno rischiato la vita per una candella accesa caduta su una branda sistemata nella baracca dove vivono, a Trigoria. E adesso sono ricoverati nel reparto di chirurgia plastica del Sant’Eugenio, con il viso irriconiscibile dalle ustioni, e domani il medico deciderà se sottoporli a un intervento chirurgico. Seduto su una sedia accerchiato da parenti e amici, si tortura il volto con le mani, mentre ricorda le fiamme che avvolgevano il letto e racconta di quanto sia difficile vivere di niente. A 35 anni, Dumitru operaio edile, non ha un impiego fisso, «ma vive di qualche lavoretto ogni tanto, quando mi chiamano per 50 euro al giorno». Prima che la sua famiglia arrivasse in Italia abitava in un appartamento in affitto, «poi le spese sono aumentate, ad agosto è arrivata Roxana e i bambini e siamo finiti così».
A cercare una casa da dividere con qualche altra famiglia «perché chi ce l’aveva 800 euro per l’affitto? Con un parente avevamo anche trovato una sistemazione ma nessuno ha voluto dare una appartamento a due famiglie romene, anche se siamo lavoratori, brava gente». Così, ad agosto, sono finiti dentro quelle case di legno, accampati tra materassi sporchi di fango, cumuli di copertoni, pentole e sedie rotte.Sua moglie Roxana pensava di trovare una vita migliore, un futuro per se e per i suoi bambini, quando dalla Romania ha preso un pulman per raggiungere suo marito. Non certo di vivere come una disperata «senz’acqua, senza luce, di passare il Natale in quella baracca umida, dove le candele sono l’unico modo per riscaldarsi».
Tutto quello che chiedono adesso è una sistemazione dignitosa. Perché vorrebbero tornare a vivere «come essere umani e magari mandare i figli a scuola, garantirgli un futuro vero». «Vorremo che il sindaco ci ascoltasse - dice Lucian, suo cognato, benzinaio all’Eur, regolare da due anni - che ci desse una casa vera. In questo paese ci siamo sempre comportati in maniera corretta, anche quando vivevamo dentro le baracche, non abbiamo mai dato problemi, avevamo anche detto al proprietario che potevamo pagare un piccolo affitto. Non chiediamo tanto, chiediamo di poter vivere come gli altri perchè come gli altri lavoriamo e abbiamo un contratto, seppur misero. Non vogliamo più essere abbandonati».
Fonte: Il Messaggero
http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=13107&sez=HOME_ROMA&npl=&desc_sez
«Che la morte dei miei serva affinché nessuno viva più nelle baracche»
«Spero che la morte di mio figlio e di mia moglie servano perché nessuno debba più vivere in una baracca come la mia. Qualcuno ha detto che la colpa della loro morte è mia perché vivevo in una baracca, ma io ho un lavoro con un contratto regolare ma nessuno di noi riesce ad avere un alloggio diverso».
Così si è sfogato Cristinel Verbuncu, il romeno che l'altro ieri ha perso la moglie e il figlio nel rogo della baracca a Castelfusano, durante la messa che si è celebrata ieri mattina nella chiesa Regina Pacis di Ostia organizzata dalla Comunità di S. Egidio in memoria delle due vittime. Cristinel ha pianto e pregato insieme alle circa 200 persone tra connazionali e romani. La benedizione è stata impartita da un prete romeno ortodosso, perché la famiglia è di religione cristiano-ortodossa; la meditazione è stata tenuta dal responsabile della Comunità di Sant'Egidio di Ostia, Corrado Petracchi. Cristinel ha detto di essere «una persona per bene». Ora la sua preoccupazione più grande è per i funerali dei suoi cari la cui data non è ancora stata stabilita.
Funerali che «la Comunità di Sant'Egidio e il Municipio XIII, il cui presidente Giacomo Vizzani era alla messa - ha spiegato il responsabile dei Rom di Sant'Egidio Paolo Ciani - aiuteranno a organizzare». L'uomo ha infine espresso il desidero di rimanere in Italia. «Vorrei rimanere - ha detto - dove sono morti la mia bambina e mia moglie».
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29/12/2008
Fonte: Il Tempo
http://iltempo.ilsole24ore.com/roma/2008/12/29/969687-morte_miei_serva_affinche_nessuno_viva_nelle_baracche.shtml
Ostia L’ultimo saluto a Dorina e Cristinel
di Stefano Vladovich
aiuto «Spero che la morte di mio figlio e di mia moglie servano perché nessuno debba più vivere in una baracca come la mia. Dicono che la colpa della loro morte è mia perché vivevo lì, ma io ho un lavoro con un contratto regolare. Nessuno di noi riesce ad avere un alloggio diverso». Poche parole ma sufficienti per raccontare la tragedia e la miseria di tutti i giorni nella bidonville di Castelfusano quelle pronunciate da Cristinel Verbuncu, l’operaio romeno cui sono morti i familiari nel rogo di una catapecchia in pineta. A tre settimane dal drammatico incendio in cui hanno perso la vita Dorina Preda, 32 anni, e Daniel Cristinel, tre anni, si sono svolti i funerali con rito cristiano-ortodosso. La parrocchia Regina Pacis, a Ostia, ancora una volta gremita di gente per l’estremo saluto alla donna e al piccolo Daniel, morti a Santo Stefano subito dopo il loro arrivo in Italia. A officiare la messa padre Gheorghe Militaru, parroco della comunità romena di Ostia e Fiumicino. Davanti alle due bare le foto delle vittime mentre ai piedi dell’altare, secondo l’usanza ortodossa, pane, dolci e vino a simboleggiare il cibo necessario per l’ultimo viaggio dei defunti. Ai presenti sono stati distribuiti asciugamani e candele per ricordare il bimbo mentre alle donne una sciarpa di lana in omaggio a Dorina. Presenti il presidente del XIII municipio Giacomo Vizzani e la giunta locale al completo mentre in rappresentanza del sindaco Gianni Alemanno, che ha inviato una corona di fiori, l’assessore al commercio e al Litorale Davide Bordoni. «Un momento molto triste per Ostia - dice padre Gheorghe - Siamo qui per dare una carezza al dolore di questa famiglia. La morte fa parte della vita che è solo un passaggio. Dobbiamo pensare al popolo immigrato come a un popolo che sogna un futuro migliore e che spesso percorre la sua Via Crucis. Bisogna risanare la nostra memoria e pensare che quando ognuno di noi incontra un immigrato incontra un altro uomo affinché non si senta uno straniero a Ostia, come a Roma, come in tutto il mondo». Straziato dal dolore Cristinel Verbuncu ha seguito i feretri fino al cimitero Laurentino dove sono stati tumulati. «Voglio restare in Italia, qui ho perduto i miei cari, il mio bambino e mia moglie. Voglio rimanere accanto a loro» ha aggiunto l’uomo che vive e lavora da anni sul litorale.
Fonte: Il Giornale
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=321865
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