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domenica 29 marzo 2009

Romeni d'Italia di Pietro Cingolani, l'anticipazione

di Pietro Cingolani

I migranti romeni, dal punto di vista residenziale, non sono segregati rispetto agli italiani e molti dei lavori che svolgono implicano un alto grado di integrazione con i “nativi”. Ad esempio le donne che lavorano come assistenti domiciliari sviluppano un livello di intimità molto elevato nei confronti delle famiglie e l’assistito rappresenta la chiave di conoscenza della lingua. Lo stesso vale per molti uomini che lavorano nelle piccole imprese dove il rapporto tra datore e dipendente è regolato da dinamiche informali e di carattere familiare.
Intorno a una presenza diffusa sul territorio si sono costruite delle rappresentazioni pubbliche, che molto spesso sono risultate semplificatorie e superficiali e hanno oscurato la ricchezza delle diversità interne, legate alle storie professionali e familiari dei singoli. Questo discorso si è presentato in due varianti, quella assimilazionista e quella criminalizzante.
Nella variante assimilazionista il romeno viene rappresentato come facilmente adattabile a noi, il più integrabile tra gli immigrati, perché immagine vivente del nostro passato: il mondo che ha lasciato è lo specchio della società italiana alle soglie della industrializzazione di massa. I romeni sono ferventi cristiani, grandi lavoratori, legati ai valori familiari; le donne vengono esaltate perché hanno conservato l’arte domestica e il rispetto dell’autorità maschile, gli uomini perché sono lavoratori instancabili e mantengono la parola data. La presenza romena testimonia così un’integrità di valori che la società italiana, secolarizzata e corrotta, ha ormai perso, e per questo viene sottolineata la forza rigenerativa di tale presenza. A questo aspetto si riconduce anche la scelta di compagne romene da parte di molti uomini italiani che possono riscoprire in loro la “femminilità” e il “senso della casa” perduti dalle donne italiane.
Le retoriche dominanti vengono spesso introiettate e riproposte dagli stessi migranti che cercano di accreditarsi presso la società di arrivo accedendo a un linguaggio ritenuto condiviso. Il rappresentante di un’associazione romena, per spiegare il segreto del suo successo professionale in Italia, mi ha fornito questa lettura: “Noi come popolo siamo normali, esattamente come voi italiani. Guardi un italiano e guardian romeno e non riesci a capire dove stia la diversità. Non abbiamo stranezze religiose o culturali come i musulmani, non siamo arretrati come gli africani. Per questo siamo ben accetti, perché non diamo disturbo”.
Nella seconda variante, quella criminalizzante, i romeni sono invece rappresentati come coloro che attentano alla nostra sicurezza, insinuandosi nelle pieghe del tessuto sociale e violando la nostra intimità. Gli uomini sono violenti e specializzati nelle rapine delle case, alle quali spesso hanno accesso perché vi hanno lavorato come muratori, o si dedicano al furto delle informazioni personali (clonano carte di credito e saccheggiano i conti in banca) o allo sfruttamento della prostituzione di connazionali. Nel discorso pubblico intorno agli uomini romeni riemergono le caratteristiche attribuite in passato agli immigrati “slavi” e “balcanici” che avevano alimentato in clima di sospetto verso i cittadini albanesi nei primi anni Novanta.
Le donne, invece, entrano nel loro lavoro a stretto contatto con le famiglie, ne sfruttano la fiducia per ottenere vantaggi personali e per corrompere sotto il profilo sessuale gli uomini italiani. L’immagine della romena arrivista e pronta a tutto è stata costruita in buona parte dai mass media, che hanno addirittura coniato l’espressione “sexy badante”. Queste rappresentazioni hanno una forte capacità di strutturare l’immaginario perché indicano il pericolo come interno agli spazi più protetti e inviolabili, quelli della famiglia (…)
Questi discorsi, che oscillano tra assimilazionismo e criminalizzazione si presentano ciclicamente nel dibattito pubblico italiano, in stretta connessione con eventi politici e economici più ampi. L’entrata in Europa della Romania il primo gennaio del 2007 ha prodotto un ampio dibattito sull’opportunità di limitare gli ingressi dei neocomunitari, nel timore di un’invasione incontrollata. Nei primi mesi del 2007 i quotidiani e alcuni politici hanno scatenato una campagna di criminalizzazione intorno alla presenza romena in seguito all’uccisione nella metropolitana di Roma di una ragazza italiana da parte di due coetanee romene. Dopo questo avvenimento si sono susseguite una serie di accuse ingiustificate verso altre donne della stessa nazionalità (…)
I migranti romeni hanno abbandonato uno stato debole per incontrare in Italia uno stato altrettanto debole. Molti romeni affermano di aver ritrovato in Italia caratteristiche della vita pubblica romena, un rapporto simile tra cittadini e istituzioni, un’eccessiva e ampia tolleranza verso il lavoro nero, la prevalenza delle relazioni informali sui luoghi di lavoro, un’interpretazione morbida delle regole (…)
Qual è il messaggio che correi questo libro lasciasse ai lettori? Sicuramente che ogni storia collettiva di migrazione è una storia di tante singole persone ognuna delle quali filtra con i propri occhi i mondi sociali e culturali dai quali proviene e quelli nei quali si trova a vivere. Ecco perché ho realizzato uno studio etnografico partendo dal basso, valorizzando la dimensione biografica e recuperando quella centralità della persona che, in parte degli studi migratori, è stata messa in ombra da modelli teorici troppo spesso inclini alla semplificazione.
In secondo luogo ritengo che la migrazione vada considerata nella sua dimensione di processo in continuo divenire e possa essere compresa soltanto se collocata in una prospettiva di più lungo periodo. E, dunque, con questo lavoro vorrei dare un piccolo contributo alla conoscenza delle condizioni di vita dei migranti romeni nelle nostre città e anche alla conoscenza delle realtà postsocialiste e delle tumultuose trasformazioni di natura economica e sociale che hanno avuto luogo nell’Europa orientale dopo il 1989.

Fonte: Il Messaggero.

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