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giovedì 4 giugno 2009

Grazia e Marius, eroi della tendopoli

Grazia e Marius, eroi della tendopoli:
lei organizza le attività scolastiche, lui è il volontario sempre disponibile
di Nino Cirillo

L’AQUILA (3 giugno) - La maestra Grazia e il rumeno Marius, prima di questo terremoto qui, vivevano esistenze lontane. Lei si presentava pimpante in classe tutte le mattine, nella sua seconda elementare al III Circolo Didattico di Santa Barbare; lui, invece, tutte le mattina si alzava e andava a fare l’unico lavoro che fino ad allora sapesse fare: il cartongessista, sì, l’operaio specialista in cartongesso.
La maestra mandava avanti la classe e la casa, si occupava dei due figli già grandi e del marito manager delle Poste, il rumeno trepidava per la moglie incinta e si appassionava ai lavoretti in giardino, nella casa di Poggio Picenze che stava proprio per comprare, se solo non fosse arrivata prima la Scossa.
Mai si sarebbero incontrati -mai sarebbero diventati famosi, si può dire- se un destino chiamato Sisma non li avesse catapultati qui, nella tendopoli di Piazza d’Armi, unico esempio mai realizzato di accampamento metropolitano, unica forma di convivenza coatta di queste dimensioni -1.100 aquilani, qualche tossico e qualche pregiudicato compresi- che l’Italia moderna abbia mai sperimentato.
La Maestra e il Rumeno, si sarà capito, sono i due piccoli grandi eroi di questo campo, di questi giorni così umidi e rognosi, di questi pomeriggi senza far niente, di questi bambini comunque felici. La Maestra -che si chiama Grazia Schiavi, romana di Colli Aniene, da venticinque anni trapiantata qui per amore del marito- perché s’è presa tutta sulle sue spalle la scuola della tendopoli, perché è anche ufficialmente la responsabile di un micro-istituto che ospita 10 bambini al nido, 20 alla materna, 40 alle elementari e anche una cinquantina di ragazzetti delle medie. Il Rumeno -che si chiama Marius Bacosca, ha 23 anni e vive in Italia da sette- perché s’è meritato sul campo i galloni, e il giubbotto fosforescente, di volontario della Protezione civile.
Marius viene da una regione al confine con la Moldova. Aveva già un’idea di cosa fosse il Delta del Danubio, ora sa anche cosa vuol dire briefing. Va pazzo per i briefing: «Allora, ci vediamo tutti alle sette stasera?». Il responsabile del campo, l’ingegner Francesco Lojacono se lo mangia con gli occhi: «E’ l’esempio vivente del motto della Protezione civile: ognuno di noi deve essere il primo soccorritore di se stesso». E Marius va ben oltre: non sta fermo un minuto durante la giornata, lavori di falegnameria, pulizia dei bagni, carico e scarico di merci. Sempre con quell’aria sveglia e quella camminata da gigante buono: «Ma io penso solo mio figlio Angelo, in verità. Se sta bene lui, stanno bene tutti».
Non è vero, e il suo frenetico attivismo lo dimostra. Ma di questo figlio Angelo lui va giustamente orgoglioso: non ha neanche due mesi ed è il primo nato nella tendopoli di Piazza d’Armi, per l’esattezza il 24 aprile. Su Internet impazzano le foto: Marius e la moglie Simona, rumena come lui, e in mezzo il neonato, tutto sul sito «Fiocco Azzurro Piazza d’Armi».
«Io faccio quello posso - si schermisce il Rumeno - anzi vi confesso che all’inizio avevo un altro progetto. Pensavo di poter essere un punto di riferimento per la tutta la comunità rumena di qui, per i 209 miei connazionali che stanno sotto le tende anche loro a Piazza d’Armi. Volevo diventare una specie di loro rappresentante, ma poi ho capito che era troppo complicato, che i miei rumeni a un loro portavoce proprio non ci tenevano. E allora mi sono buttato su tutto quello che c’era fare, meglio così. Oggi sono un volontario inquadrato nella colonna della Protezione civile di Novara. Fra noi ci chiamiamo, per scherzo, i Tigrotti della Magnesia. Ma ho l’assicurazione e tutto: sono proprio contento».
E i rumeni, le loro tradizioni, le loro abitudini? Come si sono integrati nella vita del campo? «Qualcosa facciamo, magari solo il sabato e la domenica. Ma riusciamo a cucinare insieme i nostri piatti, a bere un bicchiere alla nostra maniera. E’ già qualcosa».
Grazia, invece, ha l’aria stanca di chi sta tirando la carretta da troppo tempo. Le strappano un sorriso solo i ragazzini del campo in bicicletta che la riconoscono e la salutano: «Ciao maestra». E che chiedono informazioni: «Quando si va a Mirabilandia?». Sorride anche pensando ai temi che ha appena letto: «Un ragazzino ha scritto che a lui va bene così. Che prima del terremoto se ne stava in chiuso in casa con il gameboy e la televisione e che oggi invece è ben felice di avere tanti nuovi amici e di poter stare sempre all’aria aperta. Ha concluso il tema con il suo personale slogan: viva il terremoto. Vede, è questione di punti di vista».
Ma la fatica è immane. «Lavoriamo almeno dieci-dodici ore al giorno. Abbiamo solo due tendoni, per questo si fa scuola mattina e pomeriggio. Avevano tante penne, quaderni, astucci, ci mancavano i libri. Fortunatamente sono arrivati anche quelli. No, io non stacco mai. La mia tenda è qui, la mia scuola è qui, il telefonino resta sempre accesso. L’altro giorno sono andata in tenda e ho scoperto mia figlia che piangeva. Le ho detto: non è questo il tempo per piangere. E lei ha capito: è andata a trovarsi un lavoro da commessa in un supermercato, prima o poi tornerà anche la sua università».
Va particolarmente orgogliosa, la Maestra, di un gazebo bianco nuovo nuovo che hanno donato i concessionari di un noto marchio di carburanti: «Ci faremo una biblioteca, bisognerà che anch’io impari a selezionare e a catalogare. E quando tutto sarà finito porteremo questi scaffali nella nostra scuola, la scuola vera».
Grazia Schiavi ha un cruccio e alla fine lo tira fuori: «L’ufficio scolastico provinciale mi ha nominato responsabile della scuola del campo così, a parole, con una pacca sulla spalla. Ma non ho ricevuto niente di scritto, nessuno vuole darmi niente di scritto. Eppure sarebbe importante formalizzare l’incarico, che so, anche per questioni assicurative, di responsabilità civili e penali. Purtroppo non ho tempo per andarmi a informare».La scuola di Grazia, scuola di terremoto, ovviamente non chiude. «Abbiamo dato la nostra disponibilità ben oltre sabato prossimo. Ci sono anche i ragazzi delle medie che debbono fare gli esami...». E poi si lascia scappare: «Vede, qui il problema è la mancanza di date. Non ci sono scadenze, anche se noi vorremmo rivederli tutti in una classe questi bambini, già il primo di settembre».
Che estate sarà? Grazia fa una smorfia: «Di andare in vacanza non ho voglia. L’anno scorso scegliemmo la Sicilia, quest’anno chissà». Marius, invece, mantiene la barra dritta: «Voglio che mio figlio cresca bene, questo voglio dall’estate che sta per arrivare». Un neo papà non lo ferma neanche il terremoto.

Fonte: Il Messaggero.

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