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mercoledì 28 luglio 2010

La Corte Costituzionale respinge il ricorso del Governo contro la legge regionale toscana sull’accoglienza, l’integrazione e la tutela degli stranieri



La Corte Costituzionale con la sentenza n. 269 del 22 luglio 2010 ha dichiarato in parte inammissibile ed in parte non fondato il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri contro la legge della Regione Toscana 9 giugno 2009, n. 29 (Norme per l’accoglienza, l’integrazione partecipe e la tutela dei cittadini stranieri nella Regione Toscana).
Secondo il Governo, numerose norme della legge esorbiterebbero dalla sfera di competenza regionale, incidendo su materie quali la «condizione giuridica dello straniero», l’«immigrazione», i «rapporti dello Stato con l’Unione europea», di competenza esclusiva del legislatore statale, in violazione della Costituzione.
In particolare per Palazzo Chigi l’art. 2, comma 2, nella parte in cui prevede specifici interventi in favore degli immigrati privi di regolare permesso di soggiorno, inciderebbe sulla disciplina dell’ingresso e del soggiorno degli immigrati, di competenza esclusiva del legislatore statale.
Su questa prima obiezione la Consulta non è entrata nel merito in quanto ha rilevato un errore procedurale da parte del ricorrente che nella delibera governativa di impugnazione della legge e nell’allegata relazione ministeriale non ha indicato le disposizioni impugnate, tanto da rendere il ricorso inammissibile.
Respinte perché infondate, invece, tutte le altre questioni di legittimità costituzionale a partire dall’art. 2, comma 4, nella parte in cui dispone che «gli interventi previsti dalla presente legge sono estesi anche a cittadini neocomunitari compatibilmente con le previsioni normative vigenti, fatte salve norme più favorevoli».
Sul punto la Consulta precisa che questa disposizione regionale si inserisce in un quadro normativo nazionale volto a favorire la piena integrazione anche dei cittadini neocomunitari, presupposto imprescindibile per l’attuazione delle disposizioni comunitarie in materia di cittadinanza europea. Con il decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 – ricorda la Corte – sono stati stabiliti precisi criteri inerenti al diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione europea, volti a disciplinare il riconoscimento in favore dei medesimi di una serie di prestazioni relative a diritti civili e sociali. Ma queste disposizioni “tuttavia, devono essere armonizzate con le norme dell’ordinamento costituzionale italiano che sanciscono la tutela della salute, assicurano cure gratuite agli indigenti, l’esercizio del diritto all’istruzione, e, comunque, attengono a prestazioni concernenti la tutela di diritti fondamentali, spettanti ai cittadini neocomunitari in base all’art. 12 del Trattato, che impone sia garantita, ai cittadini comunitari che si trovino in una situazione disciplinata dal diritto dell’Unione europea, la parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro”. In questo senso la legge della Toscana non lede alcuna competenza statale in tema di rapporti con l’Unione europea, “limitandosi ad assicurare anche ai cittadini neocomunitari quelle prestazioni ad essi dovute nell’osservanza di obblighi comunitari e riguardanti settori di propria competenza, concorrente o residuale, riconducibili al settore sanitario, dell’istruzione, dell’accesso al lavoro ed all’edilizia abitativa e della formazione professionale”.
Con l’art. 6, comma 35, della legge regionale, secondo il quale «tutte le persone dimoranti nel territorio regionale, anche se prive di titolo di soggiorno, possono fruire degli interventi socio assistenziali urgenti ed indifferibili, necessari per garantire il rispetto dei diritti fondamentali riconosciuti ad ogni persona in base alla Costituzione ed alle norme internazionali» a detta del Governo si darebbe vita ad un sistema socio-assistenziale parallelo per gli stranieri irregolari, non presenti regolarmente nel territorio dello Stato.
Secondo la Corte, invece, la norma regionale censurata, in attuazione dei principi fondamentali posti dal legislatore statale in tema di tutela della salute, provvede ad assicurare anche agli stranieri irregolari le fondamentali prestazioni sanitarie ed assistenziali atte a garantire il diritto all’assistenza sanitaria, nell’esercizio della competenza legislativa regionale, nel pieno rispetto di quanto stabilito dal legislatore statale in tema di ingresso e soggiorno in Italia dello straniero, anche con riguardo allo straniero dimorante privo di un valido titolo di ingresso.
Altra questione posta dal Governo riguarda l’art. 6, comma 51, nella parte in cui stabilisce che «la rete regionale di sportelli informativi supporta i comuni nella sperimentazione, avvio ed esercizio delle funzioni relative al rilascio dei titoli di soggiorno; promuove inoltre il coordinamento tra gli enti locali per lo sviluppo dei servizi volti a facilitare e semplificare i rapporti tra i cittadini stranieri e la pubblica amministrazione».
Secondo la Corte anche in questo caso non vi è stata violazione della Costituzione in quanto la norma impugnata disciplina una mera attività di supporto alla rete informativa già presente ed avviata, tra l’altro, sulla base del Protocollo d’intesa stipulato nel 2006 fra l’ANCI ed il Ministero dell’interno, con il quale si è dato inizio ad una sperimentazione volta ad attribuire progressivamente competenze ai Comuni per quanto riguarda l’istruttoria relativa al rilascio ed al rinnovo del permesso di soggiorno. La norma regionale, perciò, “ lungi dal regolare aspetti propriamente incidenti sulla materia dell’immigrazione, si limita a prevedere una forma di assistenza in favore degli stranieri presenti sul territorio regionale che si sostanzia nel mero affidamento agli enti locali di quegli adempimenti che, nell’ambito dei procedimenti di richiesta e rinnovo di permesso di soggiorno e di carta di soggiorno, diversamente sarebbero stati svolti direttamente dagli stessi richiedenti (sentenza n. 156 del 2006), nel pieno rispetto delle competenze statali di cui all’art. 5, commi 2 e 4, del d.lgs. n. 286 del 1998”.
Neppure l’art. 6, comma 55, lettera d), contrasta con la Costituzione. Con questa norma – si legge nella sentenza – la Regione ha inteso garantire l’iscrizione al servizio sanitario regionale anche agli stranieri che abbiano proposto ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento di diniego del permesso di soggiorno per riconoscimento dello status di rifugiato, richiesta di asilo, protezione sussidiaria o per ragioni umanitarie. Infatti, mentre per il Governo la Regione avrebbe inciso sulla posizione di questi soggetti la cui regolamentazione spetterebbe alla competenza dello Stato, secondo la Consulta questa norma si inserisce in un contesto normativo caratterizzato dal riconoscimento in favore dello straniero, anche privo di un valido titolo di soggiorno, di un nucleo irriducibile di tutela del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana e si limita a disciplinare la materia della tutela della salute, per la parte di propria competenza, nel pieno rispetto di quanto stabilito dal legislatore statale.
Ugualmente coerenti con la Carta Costituzionale le disposizioni dei commi 11 e 43 del medesimo art. 6. Il primo stabilisce che «La Regione promuove intese e azioni congiunte con gli enti locali, con le altre regioni, con gli uffici centrali e periferici delle amministrazioni statali, con le istituzioni europee, le agenzie delle Nazioni Unite competenti nella materia delle migrazioni»; il secondo dispone che «La Regione, in conformità alla legislazione statale, promuove intese volte a facilitare l’ingresso in Italia di cittadini stranieri per la frequenza di corsi di formazione professionale o tirocini formativi».
Secondo il Governo queste disposizioni assegnerebbero alla Regione compiti internazionali in una materia, quella delle politiche migratorie, che non appartiene alla competenza regionale e che attiene alla disciplina dei flussi migratori. Per la Consulta, invece, il comma 11 non fa altro che raccordare l’attività della Regione, nelle materie di propria competenza, con quella delle altre Regioni, delle amministrazioni statali, delle istituzioni europee e degli organismi internazionali, in vista del più efficace perseguimento, in via puramente indiretta ed accessoria, delle finalità delineate dal legislatore statale in tema di politiche migratorie. Con il comma 43 l’obiettivo è chiaramente quello di consentire alla Regione di promuovere intese (al fine di agevolare la frequenza degli stranieri ai corsi di formazione professionale o tirocini formativi), che si riferiscono ad un ambito di competenza legislativa regionale residuale, corrispondente appunto alla formazione professionale, peraltro espressamente da realizzare «in conformità alla legislazione statale» e cioè nel pieno rispetto dei principi della politica estera fissati dallo Stato.
Fonte: immigrazione oggi

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