Giovedì 27 Gennaio 2011
Radu Mihaileanu, regista rumeno di origine ebraica, è un fine conoscitore dell'ironia dolce-amara del suo popolo. In Train de vie affronta un tema delicato e straziante come quello della Shoah, con tocco lieve e il meno possibile didascalico. Un po' come lo stesso Roberto Benigni nel suo premio Oscar La vita è bella (1997). Solo che il regista rumeno ci è arrivato per primo, pur vedendosi costretto a posporre la realizzazione del suo progetto. Mihaileanu infatti inviò inizialmente il suo soggetto a Benigni, il quale in un primo momento lo ignorò ma poi estrasse dal cilindro il suo capolavoro assoluto. Allietata dalla "zingaresca" colonna sonora di Goran Bregovic, la vicenda si svolge in un piccolo shtetl: un villaggio ebreo dell'Est europeo. Nella scena iniziale Schlomo, il matto del villaggio, corre a perdifiato per avvertire i suoi compaesani dell'imminente arrivo dei nazisti. Quando tutti non sanno che fare, Schlomo espone all'improvviso un'idea geniale: l'auto-deportazione dell'intero villaggio. Il suo piano consiste nell'acquistare un treno, travestire da nazisti quelli che fra loro hanno più dimestichezza con la lingua tedesca e tirar dritto con il loro "treno fantasma" fino in Palestina, via Russia. Questa idea, apparentemente strampalata, risulta essere in realtà la loro unica alternativa per sottrarsi ai lager nazisti. Il finale non è affatto scontato. Ne fuoriesce un film corale in cui ci s'immedesima coi bizzarri personaggi che, in fuga verso la loro Terra Santa, danno vita a rocamboleschi episodi. Il rabbino, nei pressi di un blocco nazista, prega il buon Dio d'Israele di salvare le donne e i bambini, e "già che c'è" anche i vecchi - lui compreso. Schlomo, la cui saggezza è racchiusa nella perla "L'uomo ha sicuramente creato Dio per inventare se stesso", confessa di aver sempre voluto fare il rabbino, ma poiché il posto era già stato occupato si è accontentato di fare il matto. Mordechai è un fabbricante di legname, scelto per interpretare il ruolo del comandante nazista, suo malgrado, e per questo viene detestato da tutti. Yossi è lo zimbello del villaggio, perennemente attaccato alla sottana della madre, instauratore d'una cellula bolscevica nel treno e fomentatore di una velleitaria rivolta. Esther, la bella di turno, è in cerca del grande amore e si concede al figlio di Mordechai - anch'egli bolscevizzatosi strada facendo - cui lei impartisce un prezioso insegnamento: il suo aggraziato seno vale più di tutti i Marx e i Lenin del mondo. Questo è forse il più bel film sulla Shoah: brillante, scorrevole, ma soprattutto riflessivo.
Fonte: Blogosfere
domenica 30 gennaio 2011
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