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venerdì 21 novembre 2008

Se l'immigrato si mette in proprio. In Italia boom di piccole imprese


Negli ultimi cinque anni le imprese con titolari extracomunitari sono aumentate del 20%
E nel biennio 2006/07 quasi 17mila i nuovi iscritti stranieri alle Camere di Commercio
di CARLO CIAVONI

ROMA - Se non muoiono annegati prima di sbarcare a Lampedusa; se non vengono rispediti col foglio di via per non essere riusciti a dimostrare di aver diritto allo status di rifugiati politici; se ancora, una volta entrati in Italia, non decidono di cambiare paese o tornarsene indietro, gli immigrati che resistono e, nonostante tutto, riescono a rimanere, prima o poi diventano imprenditori. Magari di piccolissime aziende, ma è ormai un fatto che la tendenza è questa: fuga dal lavoro dipendente per il salto verso attività in proprio.
Bastano pochi numeri per documentarne l'espansione: negli ultimi cinque anni le imprese con titolari extracomunitari sono aumentate del 20 per cento; nel biennio 2006/07 si sono avuti quasi 17 mila nuovi iscritti stranieri alle Camere di Commercio, gran parte lavoratori dipendenti passati al lavoro autonomo.

La ricerca. Sono i dati di una recerca commissionata dal Cnel e realizzatra dal Creli (Centro per le ricerche di economia del lavoro e dell'industria). L'indagine parte da un'analisi minuziosa del complesso fenomeno dell'immigrazione in Italia, con caratteristiche originali, rispetto ad altri paesi europei. Il flusso migratorio ha riguardato il nostro Paese solo a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, quando cominciarono arrivi di una certa consistenza. Il ruolo dell'Italia, fino agli anni novanta, è stato quindi marginale, rispetto a quello ricoperto da altri paesi europei, come la Germania, la Gran Bretagna o la Francia. Negli ultimi quindici anni, invece, la popolazione immigrata in Italia ha registrato una crescita rapida, tanto da risultare, con la Spagna, uno dei paesi che registrano i più elevati tassi di incremento nelle presenze straniere. Ciò nonostante, l'incidenza degli immigrati sul complesso della popolazione italiana rimane ancora contenuta, specie se confrontata con i paesi storicamente più abituati all'immigrazione.
Il Rapporto Annuale 2008 dell'Istat riferisce che gli immigrati rappresentavano ormai il 5.8 per cento dei residenti totali nel nostro paese - circa 3,5 milioni
di persone - un'incidenza non trascurabile ma comunque ancora lontana dai livelli, ad esempio, del Belgio, dell'Austria e della Germania dove gli immigrati rappresentano il 9-10 per cento della popolazione.
Le proiezioni Istat dicono che l'incidenza degli stranieri sulla popolazione residente aumenterà dal 5,8 per cento attuale al 7.3 per cento nel 2011 e al 13.2 per cento nel 2031.

La geografie delle etnie. Lungo tutto lo Stivale è possibile disegnare una geografia delle cittadinanze presenti. Nella maggior parte delle regioni, le prime tre nazionalità più numerose risultano essere la rumena, l'albanese e la marocchina. Emergono però alcune specificità interessanti, legate a motivi geografici o socioeconomici che spiegano comportamenti peculiari. Ad esempio, nel Nord Est
(Veneto e Friuli) sono relativamente numerosi gli immigrati provenienti da paesi dell'ex-Jugoslavia. In Liguria la nazionalità più numerosa è quella degli ecuadoriani, specializzati nel servizio alle famiglie; al quinto posto, si rilevano i peruviani, che svolgono attività simili. In Toscana la comunità cinese è particolarmente numerosa, soprattutto nella provincia di Prato. Nel Lazio e nelle regioni del Sud risulta rilevante l'immigrazione dall'Ucraina, costituita quasi esclusivamente da donne occupate prevalentemente nei servizi alle famiglie. In Sicilia, infine, sono numerose le comunità marocchina e tunisina.
I dati Istat indicano anche la distribuzione settoriale dell'occupazione immigrata. Esistono alcuni modelli di specializzazione della forza lavoro straniera nel suo complesso, che tende a concentrarsi nelle costruzioni, nei servizi alle famiglie e in alcuni settori dell'industria manifatturiera. Le diverse cittadinanze possono avere livelli di istruzione media, propensioni, preferenze e competenze assai differenti che, assieme alle diverse reti sociali giustificano forme di "specializzazione" su base etnica.
Alcuni esempi: i lavoratori asiatici tendono ad essere occupati soprattutto nei servizi alle famiglie, così come quelli dei paesi andini (Perù ed Ecuador), mentre gli immigrati dall'India rappresentano una quota non trascurabile dei lavoratori agricoli.

Immigrati imprenditori. È noto come l'occupazione in Italia abbia una distribuzione sbilanciata a favore delle imprese di piccola taglia. Il 60 per cento dei dipendenti italiani è occupato in imprese di dimensione medio-piccola (con meno di 50 addetti) e quasi il 28 per cento è occupato in una microimpresa (definendo così le imprese con non più di 10 addetti). La distribuzione dell'occupazione immigrata, però, appare ancora più sbilanciata di quella nazionale a favore delle imprese di piccolissima dimensione: oltre la metà dei dipendenti stranieri (il 51.5 per cento) è occupata in una micro-impresa, e la quasi totalità di essi (l'82 per cento) lavora in un'impresa con meno di 50 addetti. Fenomeno questo connesso all'altro - in crescente sviluppo - dell'imprenditorialità straniera, alimentato dalle cosiddette "reti etniche", che sostengono l'impresa con a capo un immigrato, soprattutto quando si consolida l'attività.
Le ragioni sono evidenti: aumentano le assunzioni di dipendenti o dei collaboratori. La manodopera, infatti, viene reclutata generalmente tra i membri dello stesso gruppo nazionale, data la tendenza ad attingere alle reti familiare ed etnica e le resistenze culturali degli italiani a lavorare alle dipendenze di un imprenditore immigrato. Le imprese il cui titolare è straniero sono generalmente di piccolissime dimensioni, e questo contribuisce a spiegare la peculiare distribuzione dell'occupazione dipendente immigrata.
(20 novembre 2008)
Fonte: La Repubblica.

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