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domenica 23 maggio 2010

Il film del weekend L’Italia in crisi, dove «tutto s’aggiusta»

22 maggio 2010

Lavoro precario, sfruttamento e brava gente ne “La nostra vita” di Luchetti
«C’è poco tempo e poco guadagno», avverte l’imprenditore edile (e ovviamente faccendiere) Porcari (nomen est omen) prima di affidare un cantiere a Claudio, l’antieroe di La nostra vita, con cui Daniele Luchetti ha partecipato in concorso al festival di Cannes. È questo il dramma dell’Italia di oggi: lavori precari da svolgere in fretta e furia per cavarne il minimo indispensabile, perché, come dice Claudio (Elio Germano), «i soldi veri li fanno solo i figli de ‘na mignotta». È questa realtà, raccontata ad altezza uomo attraverso un operaio “libero professionista” (ovvero uno che, non avendo uno stipendio, non emette fatture), il centro della nostra vita, come dice il titolo. L’altro centro, più vitale, più ricco di soddisfazioni, ma sempre più spesso chiamato a sostituire uno Stato assente, è la famiglia, qui raccontata attraverso una moglie innamorata (Isabella Ragonese) e tre figli maschi sotto i dieci anni, una sorella sposata in cassa integrazione (la bravissima Stefania Montorsi), un fratello scapolone (Raoul Bova, una sorpresa) dal cuore troppo gentile.
«Questo è un film che non ammette tradimenti: deve sembrare vita sempre», ha detto Luchetti alla presentazione stampa.
E infatti questo sembra: vita, quotidiana, dolorosa, priva di coerenza, ricca di conversazioni non sequitur (i dialoghi, di Rulli e Petraglia come tutta la sceneggiatura, sono eccezionalmente realistici), di comportamenti ambigui e contradditori. Elio Germano è perfetto nel rendere questa coesistenza di brava persona e potenziale farabutto: è arrabbiato e frustrato al punto giusto per scollinare dalla parte del Male, ma riesce sempre a mantenere una traccia di umana dignità, dove riaffiora quell’orizzonte morale scomparso quando la moglie sparisce di scena – e il ritratto delle donne ne La nostra vita, pur raccontato attraverso l’ottica maschilista di Claudio e compagni, è un ritratto di quotidiana invincibilità, di buon senso capace di resistere alle peggiori derive sociali, di profonda onestà («Noi non rubiamo», stabilisce Elena come regola base per marito e figli)
Intorno ai nuclei familiari della storia – quello di Claudio, ma anche quello della sorella Loredana, quello del vicino di casa Ari (Luca Zingaretti, irriconoscibile) e quello della vedova rumena (Alina Madalina Berzunteanu) di un “morto bianco” – ruotano tanti maschi soli, da Porcari agli operai immigrati che svaniscono dal cantiere ogni volta che si avvicina una volante della polizia, alla manovalanza qualificata di Frosinone che compare in una scena chiave del film, a rappresentare un’altra virilità italiana: quella che, dopo essere stata professionalmente umiliata, si è organizzata e ha trovato un sistema per salvare lavoro e margini di profitto, senza uscire (troppo) dalla legalità.
Perché alla fine quello che è in gioco, in questa Italia di quotidiane connivenze e piccoli crimini per la sopravvivenza, del «tutto s’aggiusta» e del «qualcosa me invento », è la figura paterna, messa a dura prova da una realtà lavorativa che depaupera il “capofamiglia” del suo ruolo tradizionale («Voi siete fatte per fare figli, è uno spreco mettervi a lavorare», dice Claudio guardando la moglie, e nel suo sessismo c’è una nota di nostalgia per una mansione perduta) minandone la capacità di fare da modello maschile per i propri figli. E poiché viviamo in un’Italia dominata dal culto del denaro e del consumo “necessari” per mantenere le apparenze («In Italia vi piace far pensare agli altri che avete soldi», dice un extracomunitario, cui Claudio risponde, tronfio: «Oggi fa vedè è tutto»), Claudio tenta di recuperare terreno con regali costosi ai figli. Sarà un ragazzo rumeno (Marius Ignat, un non-attore meraviglioso nella sua naturalezza) a fargli presente che non tutto “s’aggiusta” – soprattutto con i soldi.
Nella sua capacità di ritrarre l’Italia di oggi al suo minimo comun denominatore, La nostra vita ricorda il neorealismo italiano (citazione di Ladri di biciclette compresa). Finalmente qualcuno sta raccontando al cinema che la gente in Italia si vende gli ori di famiglia per pagare il mutuo, che le automobili sono comprate a rate, che i centri commerciali sono pieni di quasi-povera gente che cerca disperatamente di assomigliare alle famiglie felici della pubblicità. Qualcuno ritrae l’Italia come è, non come ce la racconta il presidente del consiglio. E ci ricorda che, come ha detto Bruno Pupparo, il fonico di presa diretta per cui La nostra vita è stato l’ultimo film, «all’omini je puoi toje tutto, ma nun il lavoro».
Paola Casella
Fonte: Europa Quotidiano.

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