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domenica 9 maggio 2010

'L'altalena del respiro' di Herta Muller

Il lager e', purtroppo, uno dei simboli sostanziali del Novecento e, oltre a quelli nazisti e al Gulag sovietico, ne sono esistiti vari altri. Herta Muller, ultimo premio Nobel per la letteratura, ci parla di quelli che il regime comunista in Romania riservo' alla minoranza tedesca del paese, di cui la famiglia della scrittrice faceva parte, accusando solo essa dei crimini del regime filonazista di Antonescu.

Lo fa in questo libro, che e' un romanzo perche' ricostruisce e mette in forma narrativa, ma assieme e' una sorta di documento nato dalla sintesi di memorie raccolte da diversi sopravvissuti a quell'esperienza, arrivando a concludere che il lager lascia ferite profonde, strutturali, che restano insanabili per quanto uno le razionalizzi, le racconti, cerchi di farci i conti. E se pensiamo alla vicenda di Primo Levi, ma non solo, questa conclusione ci appare in tutta la sua tragica verita'. Protagonista di 'L'altalena del respiro' e' Leo Auberg, un diciassettenne deportato nei campi di lavoro forzato ucraini, che accetta quella parte coatta illudendosi possa essere la possibilita' di sfuggire dall'atmosfera soffocante della provincia in cui e' nato, non sapendo che per i prossimi cinque anni rischiera' continuamente di morire, soffrendo fame, freddo fatica oltre misura. E' il destino che tocco' alla stessa madre della Muller, la quale, sopravvissuta, non parlo' quasi mai di quell'esperienza, che pure aveva lasciato segni evidenti nella sua esistenza quotidiana, a cominciare da certi modi di dire: ''Il freddo e' peggiore della fame''; ''Il vento e' piu' freddo della neve''; ''una patata calda e' un letto caldo''. Ed e' dalla curiosita' per essi che nasce la ricerca della scrittrice.

Si reco' cosi', innanzitutto, nel suo paese d'origine, Nitzkydorf (vicino a Timisoara), senza pero' riuscire a trovare informazioni significative, quindi ando' a parlare con altri deportati e il lavoro ebbe il suo perno nelle memorie di Oskar Pastior, poeta rumeno tedesco, scomparso nel 2006 e col quale avrebbe dovuto scrivere il libro a quattro mani. Questi capisce al volo il senso delle ''metafore'' della madre della Muller e ne aggiunge di sue. I suoi ricordi diventano quindi, nel libro, quelli del giovane Leo, attraverso i cui occhi ci viene svelata la vita nel lager.

E nulla piu' che un racconto di questo tipo trova forza e si rispecchia esemplarmente nella lingua e nella scrittura scarna e poetica della Muller, precisa e dura, concreta ma assieme metaforica sino a apparire surreale, a possedere una intima forza febbrile e sofferta nell'ossessione per i dettagli cui ancorarsi per far capire a quali confini e' arrivata la sofferenza e per restituire un'immagine generale. Diversa, ma forse per certi versi piu' inquietante, la persecuzione di cui fu fatta invece oggetto la stessa Herta Muller dai servizi segreti di Ceausescu a partire dai suoi trent'anni e poi, dopo l'emigrazione in Germania, a Berlino nel 1987, praticamente sino alla caduta del regime. Lo racconta in 'Cristina e il suo doppio', rivelando come la Securitate (che appunto in codice la chiamava Cristina), non essendo riuscita a convincerla a fare l'informatrice, da una parte avesse un fascicolo su di lei e la perseguitasse come nemica della Romania e, dall'altra, ne avesse inventato un altro da rendere pubblico, facendone artatamente filtrare notizie, in cui si costruisce di lei la figura di comunista fanatica, doppiogiochista, spia senza scrupoli per il regime rumeno. E questa seconda se stessa, di cui trova tracce in mille momenti della sua vita, la scrittrice capisce cosa sia e da dove nasca solo nel 2004, quando riesce a entrare in possesso del fascicolo che la riguarda degli ex servizi di Ceausescu. Una dittatura che non lasciava speranza ai giovani oppositori, costretti o alla morte civile dell'esilio o a quella reale del suicidio, come sappiamo dall'unico romanzo della Muller tradotto in italiano prima del Nobel, 'Il paese delle prugne verdi'.

Fonte: ANSA

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