Gabriela Pentelescu vive a Napoli. Corrispondente della radio nazionale romena, collabora con Metropoli. Questo articolo è il terzo di una serie sulla stampa multiculturale realizzata in collaborazione con l’ong Cospe.
“Operaio romeno vittima di un incidente sul lavoro”, “Romeno ubriaco: denunciato”, “Polizia scopre banda di hacker romeni”. Basta fare una ricerca su Google news con la parola “romeno” e il risultato è una lunga serie di titoli come questi.
Anche se sembra esserci una tregua nelle notizie di cronaca che hanno come protagonisti dei cittadini romeni, è innegabile che le informazioni superficiali date dalla tv e dai giornali italiani rovinino quello che di buono i miei connazionali onesti cercano faticosamente di costruire.
Dall’omicidio di Giovanna Reggiani, alla fine del 2007, i romeni hanno sostituito gli albanesi nei pregiudizi degli italiani e a volte la parola “romeno” è usata come sinonimo di persona spregevole. E contro le inesattezze e le generalizzazioni non basta dire che la delinquenza non ha nazionalità.
Il problema è che i romeni – in Italia sono un milione e 165mila – non sono ancora stati in grado di creare una comunità con un unico portavoce. Sono più di settanta le associazioni di romeni sparse per l’Italia e manca ancora un’azione concreta e organizzata. A Napoli, per esempio, vivono circa 15mila romeni ma non partecipano alle iniziative che si svolgono sul territorio. I loro luoghi di aggregazione sono ancora le chiese ortodosse del vescovato romeno. Forse perché solo in questi luoghi provano un vero sentimento di appartenenza. Gabriela Pentelescu
Fonte: Internazionale
giovedì 27 maggio 2010
In cerca di un portavoce
Pubblicato da
Anca Elena
alle
11:24
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