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venerdì 26 marzo 2010

A.A.A. cercasi muratore rumeno part time

di Roberto Rossi

C’è un cantiere nel cuore della Roma di Alemanno dove 42 fantasmi lavorano giorno e notte. È tra via Palermo e via Nazionale, a un passo dall'ex sede dei Ds, a cento metri dalla Banca d'Italia, a uno schioppo dal Quirinale. Gli invisibili, che stanno ristrutturando un teatro auditorium, sono tutti rumeni. E, soprattutto, lavorano part time, la nuova frontiera del lavoro nero nell’edilizia.

A Roma, come risulta dai dati della Cassa edile, oltre il 22% degli operai (circa 12.500) lavora con contratti di questo tipo. Così capita, come nel caso dell'auditorium di Via Nazionale, che E.M. raggiunga anche le 14 ore di lavoro continuato al giorno ma alla fine del mese (febbraio) il datore di lavoro, il gruppo Raia, ne dichiari solo 64. Il resto è nero. Come la vita degli edili romani-romeni. Un gruppo folto nella capitale e dintorni. Rappresentano l’80% dei 30mila lavoratori stranieri. Che poi sono il 50% della forza lavoro in questo settore.

Dati che riflettono quelli a livello nazionale. Dove gli stranieri sono circa 210mila ovvero il 30% degli iscritti totali. Spesso irregolari. Si stima che in Italia ci siano almeno 3 milioni in totale, di cui forse la metà completamente in nero. Circa 2 milioni sono stranieri, 300mila lavorano al Sud, quasi interamente in nero, ed il resto lavora al Centro – Nord, prevalentemente in nero. E quanto muovono? Circa il 17% del Pil. Oltre 25 miliardi di euro. Più o meno. Alla cifra contribuiscono anche i 42 romeni dell’auditorium in questione. Nella sola capitale sono circa 80mila i lavoratori edili fantasma. Producono quasi 1,2 miliardi di euro di economia sommersa.

Gente sfruttata, senza tutele, spesso costretta a lunghi turni di lavoro. Di più. Spesso costretti a prendere una partita iva, a creare una finta impresa e fingersi un lavoratore autonomo. «A Roma - ci dice Roberto Cellini della Fillea Cgil - negli ultimi tempi si è avuto una recrudescenza del fenomeno». Colpa della crisi, certo, che colpisce un settore che vive anche di sub appalto, spesso sinonimo di bassa qualità del lavoro, ma colpa anche di una politica, locale nel caso in questione, piuttosto miope. Basti pensare che oltre 100 milioni di appalti sono stati assegnati dal Comune con trattativa privata o per emergenza. La straordinarietà non è più un’eccezione. Come in Italia. L’affaire Protezione civile questo ci ha insegnato.

E proprio seguendo questa logica di precarietà che prolifera il lavoro irregolare. Non è un caso se rispetto all’anno precedente, nel 2009 gli occupati nell’edilizia sono scesi del 4% ma i lavoratori stranieri occupati sono aumentati del 10%. Vuol dire che le imprese edili non assumono più italiani ma stranieri. Perché mentre in tutti gli altri settori i primi ad essere espulsi sono i migranti ed addirittura in settori storici a prevalente presenza di manodopera straniera (badanti, colf) si comincia ad inserire manodopera italiana, nell’edilizia cresce la manodopera straniera.

Ciò dipende dalle caratteristiche del mercato e dalla struttura del sistema di impresa e dalla fragilità del sistema delle imprese. In Italia sono 775mila quelle edili. Occupano un totale di 1,9 milione di addetti (tra dipendenti ed autonomi), per una media di 2,4 dipendenti per azienda. Dunque, le costruzioni in Italia si reggono su un numero esiguo di grandi imprese strutturate (la più grande impresa italiana, Impregilo, è nella classifica delle grandi imprese europee al 27imo posto) ed un sistema frammentato e destrutturato di micro imprese. Dove l’immigrato è l’anello debole. Un esempio? Nel 2007 presso la centrale nucleare di Borgo Sabotino, nei pressi di Latina, si apre uno dei cantieri più grandi. L’impresa committente è Terna spa, l’appaltatrice l’Acmar di Ravenna, la subappaltrice la Treton spa di Pero. Sul sito lavorano 68 edili, di cui 54 rumeni. I lavoratori sono 20 su 60 e i denuncianti hanno una media di 80 ore mensili. Invece gli operai lavorano 11 ore al giorno. In nero, senza diritti e senza tutele.
23 marzo 2010
Fonte: l'Unità

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