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sabato 6 marzo 2010

Da clandestino a imprenditore. Prima volta di un romeno in lista


Società & Costume

Da clandestino a imprenditore. Prima volta di un romeno in lista
Costel Zvarici, 43 anni, candidato con i Riformisti per Termoli, racconta in questa intervista la sua storia difficile e le ragioni di una scelta insolita che lo rendono un caso "unico". Innamorato di Termoli, città scoperta per caso 8 anni fa dove ha avviato la sua prima impresa di costruzioni, Costantino affronta anche il problema della discriminazione e della povertà.

Costel Zvarici

Termoli. Lo chiamano tutti Costantino, ma il suo nome di battesimo è Costel. Il cognome è più complicato da pronunciare: Zvarici. Candidato numero 21 della lista “Riformisti per Termoli”. E non per tappare un buco, come si dice. «La politica può fare molte cose, e aiutare a risolvere molti problemi», dice lui in italiano (quasi) impeccabile. Ha imparato la nostra lingua dodici anni fa, perfezionandola con il tempo e gli incontri. Costantino è romeno: uno dei due unici stranieri fra gli oltre 500 nomi dell’esercito di candidati che affollano le 20 liste in corsa (l’altro è un ragazzo albanese, Glori Velko, candidato con Termoli Giovane per Remo Di Giandomenico).

E’ arrivato in Italia da clandestino, come tantissimi altri. Ha lavorato a Roma da muratore, come molti altri. Ha scoperto Termoli, «un angolo di paradiso», per caso. E qui, nella città dell’edilizia controversa, dell’urbanistica dei furbacchioni, del cemento che mangia ettari di campagna, ha aperto la sua attività: una ditta di costruzioni e ristrutturazioni. Eccolo Costel Zvarici, 43 anni, nerovestito ma sorridente, occhi azzurri e baffetti biondi. Professione: imprenditore. Vocazione: integrazione. Per questo, assai più che per la sua presenza in lista, vale la pena farsi raccontare la sua storia. Che in quest’epoca di razzismo travestito da esasperazione, in una cittadina che sta per tornare al voto impoverita di soldi e arricchita di razze, è come una parabola di diversa umanità.

Lei arriva dalla Transilvania, la regione di Dracula
«Sono di Arad, al confine con l’Ungheria. Una bella cittadina (la stessa che ha dato i natali alla pittrice Frida Kahlo, ndr) dove la mia famiglia aveva 8 negozi di abbigliamenti gestiti dal sottoscritto. Ma dopo la caduta del dittatore Ceauşescu la Romania ha cominciato a vivere un periodo molto difficile per l’economia. Ho chiesto un prestito alle banche per andare avanti e pagare i fornitori, ma i tassi di interesse sono balzati alle stelle e in poco tempo sono stato costretto a vendere tutto per pagare i debiti. Negozi chiusi, io sono rimasto senza lavoro».

Sposato? Figli?
«Sì. Moglie e due figlie, che oggi hanno 22 e 24 anni. Quando sono cominciate le difficoltà erano piccole. Ero terrorizzato, perché dovevo mandarle a scuola. Ma c’erano molti problemi economici in famiglia, e poi mia madre che soffriva di cuore e aveva bisogno di farmaci costosi. Così ho deciso: vado in Italia»

Sperando di trovare un lavoro e mettere da parte del denaro: una storia come tantissime altre.
«La storia dei poveri, dei disperati. Non si lascia il proprio Paese e la propria famiglia se non si è spinti dalla necessità».

Se lo ricorda il viaggio dalla Romania all’Italia?
«Non lo dimenticherò mai. Il primo non andò a buon fine: pagai un sacco di soldi per farmi portare fino al Montenegro in un tir che trasportava pelli. Fuori c’erano quaranta gradi, nel rimorchio dove viaggiavamo in troppi ce n’erano sessanta. Un inferno, la gente che sveniva in quel caldo soffocante. Era il 1999, e io ero clandestino, perché la Romania non era ancora entrata nell’Unione Europea».

Cosa andò storto?
«Un problema di documenti dell’autista. Tornò indietro. E io ripartii da solo, arrivai a Lubiana e poi raggiunsi Trieste a piedi. Un viaggio di 15 giorni, rischioso. Ma ero in Italia. E mi sono subito diretto a Roma, dove contavo di trovare lavoro».

E così è stato?
«Sì, ho cominciato a lavorare nei cantieri edili di Roma e sono stato fortunato: ho incontrato un datore di lavoro onesto, che mi ha fatto fare i documenti, il permesso di soggiorno. Ho lavorato con grandi sacrifici, rinunciando a tutto per mettere denaro da parte da inviare a casa o da risparmiare per il futuro. L’anno successivo mi hanno raggiunto mia moglie e le bambine, ed è cominciata la nostra vita in Italia. Sul lavoro le cose cominciarono ad andare bene, sono diventato capocantiere, ho preso in affitto una bella casa in via Po, al centro. Certo, Roma è caotica e io odio il traffico. Ma insomma, non era una brutta vita…».

E Termoli? Come ha incrociato questa città nel suo percorso?
«Sono arrivato qui la prima volta sette anni fa. Un amico, imprenditore termolese in pensione conosciuto a Roma, aveva insistito per invitarmi a trascorrere un week-end con lui. Ho scoperto Termoli un venerdì d’estate, e in un secondo ho deciso: vengo a vivere qui. Ho chiamato mia moglie, le ho raccontato del colpo di fulmine. E lei si è fidata, siamo sempre stati molto uniti».

Coraggiosa. E coraggioso anche lei, a lasciare tutto e trasferirsi qua. Per fare cosa?
«All’inizio ho lavorato con alcune imprese locali a Guardialfiera, per la ricostruzione post terremoto, a Campomarino, e a Termoli, alla ristrutturazione del palazzo L’Ops di via Milano. Intanto le ragazze crescevano, studiavano e vincevano concorsi di bellezza e premi di danza. Io ho continuato a risparmiare, mi sono deciso a chiedere un piccolo prestito alla banca e cinque anni fa ho aperto una impresa che costruisce e ristruttura case».

Le cose vanno bene?
«Sì. La crisi adesso si fa sentire, ma non voglio lamentarmi. Ho fatto diversi lavori, altri ne sto facendo in questo periodo. In realtà ci stanno pensando di più gli altri che lavorano con me, visto che per fare un po’ di campagna elettorale ho organizzato i cantieri in modo da potermi assentare».

Allora la sua candidatura è una cosa seria. Da dove nasce?
«Sento parlare continuamente i miei amici di politica. Un giorno, stavano discutendo animatamente, ho domandato se c’era qualche possibilità per noi stranieri di candidarsi, partecipare attivamente alla vita della città. Mi hanno spiegato le cose e mi hanno aiutato a mettermi in lista».

Riformisti per Termoli, cioè Socialisti?
«Sono un uomo di sinistra».

Moglie e figlie hanno approvato?
«Completamente. E mi stanno aiutando moltissimo. Tutta la famiglia è d’accordo che bisogna impegnarsi in prima persona per la città che si ama e per migliorare la vita delle persone».

Costantino, lei è titolare di una impresa straniera che opera in un settore caratterizzato da grandi rivalità e competizioni. Non si è mai sentito discriminato?
«Una volta è accaduto, ed è stato terribile. Stavo facendo un computo metrico e il cliente mi ha chiesto a bruciapelo: “Ma tu di dove sei?”. Era l’epoca in cui i giornali e le tv puntavano il dito contro i romeni per i furti in villa e gli stupri. Mi si è gelato il sangue. Poi però quel lavoro l’ho fatto lo stesso».

E quando vede romeni senza casa, senza lavoro, in fila davanti alla mensa della Caritas?
«Non posso spiegare come mi sento. Ho i brividi. Sto male». Ed è vero, l’espressione cambia, gli occhi si inumidiscono di colpo. «Il mio desiderio più grande è che le cose vadano meglio per tutti, che ci sia speranza per tutti. Bisognerebbe mettere in campo onestà e serietà, nella vita e nel lavoro. La giustizia sociale invece spetta alla politica: secondo me la politica serve a questo . Io ci credo». (mv)
(Pubblicato il 06/03/2010)
Fonte: PrimoNumero.

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