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giovedì 6 maggio 2010

Di un vino rumeno di quarant'anni fa: Cadarca de Minis 1970

Quinto produttore di vino in Europa, la Romania ha, sicuramente, un potenziale enorme, alla pari di molte altre regioni dell'Est Europa, ancora tutte da scoprire o, meglio, da riscoprire e rivalutare. A differenza dell'Ungheria che ha potuto contare, in questi ultimi anni, su forti investimenti stranieri, la Romania ha bisogno, ancora, delle necessarie risorse finanziarie e delle indispensabili competenze tecniche per potersi sviluppare e competere sui mercati internazionali. Nonostante, infatti, la viticultura rumena possa contare su una storia millenaria, la stessa ha dovuto fare i conti nel recente passato con la dittatura comunista che ne ha praticamente, se non distrutto, decisamente compromesso buona parte del suo patrimonio vitivinicolo.

Dopo la caduta di Ceausescu, nel dicembre del 1989, si è assistito a una lenta ripresa e graduale rinascita. A tutt'oggi, però, la spinta senza sosta verso la privatizzazione del settore non è stata del tutto completata e il 23% dei vigneti risulta, ancora, nelle mani dello Stato. Sono otto le regioni vinicole suddivise in 37 distretti. Le due regioni principali, in termini quantitativi, sono la Moldova e la Muntenia, dove viene prodotto ben il 60% del vino rumeno.

Oltre al successo riscontrato con le varietà internazionali, in particolare Cabernet Sauvignon (una realtà) e il Pinot Nero (una speranza), vengono coltivate diverse varietà autoctone di un certo interesse. Le più importanti sono quelle riconducibili alla famgiglia delle "Feteasca": Alba, Neagra e Regla. Altre varietà da ricordare sono la Babeaska, la Busuioaca, la Francusa, la Galbena, la Grasa e la Tamaîoasa.

Nel caso della Cadarca, invece, si tratta di un'uva tipicamente ungherese (la Kadarka, in questo caso, entra a far parte dell'uvaggio da cui si ottiene, nella zona di Eger, un rosso robusto e potente conosciuto come Bull's Blood, cioè "sangue di toro", che di fatto viene coltivata nella regione di Minis giusto al confine tra Romania, Ungheria e Serbia. Ho l'abitudine di acquistare, di tanto in tanto, vini della mia annata di nascita, il 1970. Non sono risuscito a trattenermi neanche qualche anno fa, a Bucharest, in occasione di un viaggio di lavoro, quando ho scoperto la possibilità di acquistare vecchi millesimi certificati (per quello che può valere) a prezzi se non proprio accessibili sicuramente non impossibili. Ho stappato, ad oggi, un Pinot Nero, un Cabernet Sauvignon, un Riesling, una Feteasca Alba, un Pinot Gris e una Clairette provenienti nella maggior parte dei casi dalle regione di Murfatlar la più vocata dal punto di vista qualitativo. Alcune bottiglie si sono rivelate davvero sorprendenti mentre altre mi hanno deluso. Soprattutto il frequente quanto tangibile residuo zuccherino risulta, per il nostro palato occidentale, più facile da metabolizzare, sia fisicamente che concettualmente, sui bianchi che sui rossi. Così come, naturale conseguenza, la possibilità di abbinamento con il cibo.

La Cadarca di Minis era sicuramente la bottiglia verso la quale nutrivo le minori speranze per quel poco di conoscenza che mi ero potuto fare leggendo le poche notizie sparse in rete. Se la Cadarca viene spiantata in Ungheria in favore di altre varietà, in questa regione della Romania può dar origine a vini molto diversi tra loro, fin dal colore, da rossi più fruttati e snelli a vini piuttosto concentrati e potenti. In realtà il liquido che mi sono ritrovato nel bicchiere, probabilmente anche per il prolungato tempo di permanenza in bottiglia, non mi è stato possibile avvicinarlo né alla prima né alla seconda tipologia. L'unica certezza sulla mia bottiglia è che si trattava di un vino secco.

Un grandissimo vino da meditazione più facilmente accostabile - dalla mia memoria gustativa - a un bianco che a un rosso. Ho pensato d'istinto alla Malvasia di Bosa e più in generale al carattere speziato di qualche Vin Santo Toscano. Austero, etereo e complesso al punto giusto, questo vino ha trovato il suo improbabile equilibrio in un riuscito gioco di flebili rimbalzi tra le sensazioni evolute e ossidative di facciata e un rinfrescante impianto balsamico sullo fondo. Effluvi di tabacco ed essenze orientali si specchiano, al palato, in un'acidità ancora integra, in grado di spingere in profondità donando verticalità e tensione al vino. Da accompagnare con della pasticceria secca o cioccolato fondente.

Fonte: La Vinium

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