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mercoledì 15 aprile 2009

«Additati come sciacalli, ma noi amiamo questa terra»

APERTURA di Eleonora Martini - INVIATA A L'AQUILA
I RUMENI
Nella tendopoli delle badanti

«Perché vuoi parlare con noi, perché siamo rumeni?». I nervi sono tesi e non solo per il terremoto. Seduti fuori dalla loro tenda da sfollati, nel campo aquilano di piazza d'Armi, la più grande delle 35 tendopoli allestite dalla protezione civile nella zona colpita dal terremoto del 6 aprile, stanno ancora cercando di dimenticare come tutti l'offesa subita dalla terra che ormai dicono di amare. Ma negli ultimi giorni, come se non bastasse, hanno dovuto subire da certi media l'offesa più infamante, quella di essere additati tutti come possibili «sciacalli» di case altrui. Proprio mentre arriva la notizia dell'assoluzione perché il fatto non sussiste dei quattro loro connazionali - due donne e due uomini - accusati di furto dall'appartamento di un'anziana signora da cui avevano prelevato 80 mila euro. Processati per direttissima nell'aula di giustizia allestita presso gli uffici della scuola della Guardia di finanza di Coppito, visto che il tribunale dell'Aquila è ormai distrutto, sono stati riconosciuti innocenti perché, da badanti, avevano solo provveduto alle esigenze della loro datrice di lavoro.
«Anche io sono una badante e adesso aspetto solo che il figlio della signora che accudivo torni da Pescara dove è andato a rifugiarsi con sua madre dopo il terremoto, mi paghi quanto dovuto, e poi prenderò tutto e me ne tornerò in Romania». Florentina è giovane, ha 24 anni, è in Italia da 2 ed è molto diffidente. E' scossa perché «non riesco a dimenticare quella immagine che mi è rimasta nella testa, e il boato del terremoto». Viveva in una casa del centro dell'Aquila ormai in macerie. Lei, come gli altri sette suoi connazionali con cui condivide la tenda, non sapeva di aver scelto per vivere una zona altamente sismica, dove peraltro si trovava «benissimo»: «Mi sentivo a casa perché l'Abruzzo assomiglia un po' alla mia Moldavia, e poi è tranquillo qui, senza traffico». Era molto spaventata dalle scosse delle ultime settimana, racconta ancora Florentina, «ma la signora diceva di stare tranquilla, che non sarebbe successo niente perché quella era una casa sicura, costruita negli anni '60. E invece è venuta giù in buona parte». E ora: «Semmai tornerò in Italia, vado a vivere a Roma, o da un'altra parte ma non qui».
Non la pensano affatto così Adriana, anche lei badante, e suo marito Josif, operaio edile, che con il loro bambino Cosmi vivono a Paganica da otto anni. Josif, assunto regolarmente, stava lavorando proprio ad un appartamento del centro storico e ancora non si capacita di come possano essere venuti giù le palazzine che lui considerava «solide». Di sabbia al posto del cemento non ha neanche mai sentito parlare, ma di palazzi dalle fondamenta non ne ha mai tirati su. «Tornare in Romania? E come facciamo? Qui è nato nostro figlio, va a scuola e ha i suoi amichetti. Il suo futuro è qui. Noi, come tutti, ora dobbiamo pensare solo a rimboccarci le maniche e a ricostruire». Non si sentono diversi, non vogliono nemmeno parlare di rumeni e non rumeni. «Ci sentiamo protetti qui, come tutti gli abruzzesi siamo stati accolti bene dopo il terremoto. Non ci sono differenze. La verità va detta: nessuno ci ha trattato in modo diverso, né prima né dopo». La pensa così anche Ramona che vive invece a Monticchio, paese miracolato a due chilometri da Onna, ma praticamente rimasto intatto. Lavora come donna di pulizia in una piccola fabbrica di dolciumi abruzzesi, con 12 assunti in tutto, compresi i proprietari dell'impresa. Non ha perso nulla, né casa né lavoro e aspetta solo di poter ricominciare.
La comunità rumena conta in Abruzzo circa 2500 persone, un migliaio nella sola zona dell'aquilano. Una volta, insieme ai Macedoni, venivano come pastori. Oggi sono sosprattutto badanti e muratori. Per caso - forse - le ultime tre tende di una fila nel campo di Piazza d'Armi, sono occupate da gruppi di immigrati, due da rumeni e una da peruviani. «Abbiamo scelto noi di stare insieme nella stessa tenda, ma solo perché ci conosciamo da tempo», spiega Liza, 38 anni e due figlie di 6 e 12 anni.
«Faccio la badante a L'Aquila da 4 anni e da sempre sento parlare di terremoti in questa zona. Quando ero piccola ho vissuto anche in Romania un terremoto come questo: nel '77 ha distrutto gran parte delal regione di Vrancea e della mia città Galati. Ma scendere di corsa i quattro piani della mia casa con le mie due bimbe mentre la terra tremava e il palazzo cominciava a venire giù, è stata la cosa più spaventosa della nostra vita». Ha perso anche un'amica, eppure Liza non ha dubbi. Tra la povertà della sua terra d'origine e quella tutta nuova della sua terra d'adozione, ha già scelto: «Mi sento rumena ma anche abruzzese. E ora questa è la mia casa, il mio popolo: ho sempre trovato brave persone che mi hanno aiutato perciò ora vorrei rimanere qui e provare a ricostruire tutto».

Fonte: Il Manifesto

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