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sabato 18 aprile 2009

Friuli, prestazioni sociali solo per i lungo residenti

IL CASO
di Elisa Cozzarini

TRIESTE - Dopo la cancellazione della legge sull’immigrazione e l’esclusione degli extracomunitari dal fondo antipovertà, non si è fermata la carica della Lega Nord in Friuli Venezia Giulia. L’ultima proposta in ordine di tempo è di condizionare per tutti, italiani e stranieri, l’accesso al welfare agli anni di residenza o lavoro in regione.

In pratica avrà diritto a una serie di prestazioni sociali, dalla Carta famiglia agli assegni di studio, solo chi abita in Friuli da un certo numero di anni. La proposta iniziale della Lega era di 15 anni. Secondo quanto approvato finora, invece, gli anni di residenza sarebbero almeno cinque per gli italiani e i comunitari, dieci per gli extracomunitari.

Sabato 18 aprile alle 16 al castello di Udine (Salone del Parlamento) si terrà un incontro pubblico su queste politiche discriminatorie, organizzato dalla Rete per i diritti di cittadinanza del Friuli Venezia Giulia. Alla Rete aderiscono molti soggetti della società civile, associazioni, sindacati, singoli cittadini italiani e immigrati, di Pordenone, Udine, Gorizia e Trieste, che affermano: «Se la proposta diventerà legge, il welfare regionale, da strumento di integrazione sociale, diventerà mezzo di emarginazione e rifiuto dell’altro».

Walter Citti, dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (ASGI), aggiunge: «Queste norme sono in evidente contrasto con la Costituzione, che garantisce il diritto all’istruzione e pari opportunità negli studi. La proposta contrasta anche con il diritto comunitario, che esclude ogni forma di discriminazione, anche indiretta, fondata cioè sul requisito di anzianità di residenza. Questo criterio, infatti, può essere più facilmente soddisfatto dagli italiani rispetto agli stranieri».

D’altra parte, il vicepresidente della Commissione Ue Jacques Barrot ha già bocciato il fondo antipovertà del Friuli, che esclude gli extracomunitari e impone una residenza minima di tre anni in regione per i comunitari, italiani compresi. Nonostante il monito dell’Ue, la Regione non ha fatto passi indietro. Anzi, dal 2008 è richiesta la residenza da almeno dieci in Italia, di cui cinque in Friuli, anche per avere diritto al bonus bebè o all’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica.

«Mi chiedo da quando in qua i diritti sono legati agli anni di permanenza in un luogo», afferma Arminda Hitaj, presidente dell’Unione delle comunità e associazioni di immigrati (Ucai) di Udine. «Ma anche fermandosi solo all’aspetto pratico, la proposta della Lega non è condivisibile. Primo perché esclude anche gli italiani: ad esempio, ho un’amica che si è trasferita da Padova a Trieste di recente e ha scoperto di non avere diritto al bonus bebè per suo figlio, perché prima abitava in Veneto. E poi penso alle mamme straniere. Mi preoccupa soprattutto che si voglia restringere l’accesso agli asili nido solo ai bambini le cui famiglie sono in Friuli da almeno dieci anni. Così si ostacola l’inserimento sociale dei soggetti più deboli, le donne e i minori».

La Lega non ammette che si tratti di misure discriminatorie e spiega, per bocca del capogruppo Danilo Narduzzi, che la ragione è ridimensionare la categoria dei beneficiari perché le risorse finanziare sono limitate. Le amministrazioni di Udine e Pordenone hanno giudicato negativamente anche i vincoli di residenza per l’assegnazione di contributi agli affitti: «Si tratta di scelte discriminatorie e punitive per molte famiglie che vivono in assoluta correttezza legale e sociale sul nostro territorio e offrono il loro contributo di lavoro, civile e culturale allo sviluppo della città», afferma la giunta pordenonese.

E il sindaco di Udine, Furio Honsell (Pd), ha annunciato l’istituzione di un fondo comunale di circa 500mila euro per compensare le discriminazioni e dare risposta alle nuove povertà degli stranieri esclusi dai contributi.

(17 aprile 2009)

Fonte: Metropoli - La Repubblica.

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