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martedì 3 febbraio 2009

"Noi globetrotter del lavoro", diari online degli italiani all'estero


Oltre tre milioni di connazionali sono emigrati. Nei blog su Internet raccontano sogni, stereotipi e nuove discriminazioni, con l'incubo della crisi globale

di PAOLO GRISERI

L'IDEA è quella di mettere un bel timbro con la scritta: "Fatto da un italiano all'estero". Così, per rendersi riconoscibili, orgogliosi di arrivare dal Bel paese anche se emigranti. La proposta è venuta dai ragazzi della "Prima conferenza dei giovani italiani nel mondo" organizzata dal ministero degli Esteri a Roma nel dicembre scorso. "I lavoratori del nostro paese - è scritto nella relazione finale - hanno un'immagine positiva, di gente capace di lavorare e creare. Questa immagine viene poco sfruttata dagli italiani che vivono all'estero anche se proprio loro hanno contribuito a crearla e diffonderla. Per questo proponiamo la nascita di una denominazione di manifattura". Il timbro "made by italian people" è certamente un segnale in controtendenza nell'epoca in cui, in Inghilterra, la crisi scatena invece la caccia agli "italians".

Vista dai blog, la comunità italiana sparsa per il mondo vive e combatte sospesa tra i luoghi comuni: quelli della madrepatria, delle navi d'inizio Novecento che partivano cariche di drammi e poveracci verso destinazioni ignote, e quelli dei paesi di approdo dove gli "italians" sono il popolo indisciplinato che fa scattare con maggiore frequenza gli allarmi dei metal detector negli aeroporti. Il 7 gennaio scorso Andrea ha scritto sul suo blog "Bodrato. bloggatore. com": "Siamo vittime di una visione dell'Italia e degli italiani completamente distorta".

"Gli stranieri pensano che siamo un paese tutto pizza, mafia e spazzatura. Soprattutto siamo vittime dei racconti degli immigrati che sono arrivati qui in America 100 anni fa. Per cui noi italiani ci siamo sentiti fare delle domande del tipo: "Da voi in Italia ci sono le lavatrici?", "Voi in Italia potete permettervi di fare studiare almeno un figlio?"' "Avete il bagno in casa?". Quando la notizia che a Napoli non si poteva smaltire la spazzatura fece il giro del mondo, fu difficile per noi spiegare che questa piaga era circoscritta alla Campania e che nel resto d'Italia non era così. Anzi rimanevano sbalorditi quando gli si spiegava che in molte città si effettua addirittura la raccolta differenziata".

Alffox, titolare del blog "1 italiano a Budapest" mostra inorridito i luoghi comuni contenuti nella versione ungherese della pubblicità Vodafone: "Il campione di pallanuoto ungherese Tomas Kasas si trova in Italia e usa la chiavetta internet per comunicare con i suoi cari". La scena è girata a Genova, in sottofondo si sente la tarantella e lui comunica naturalmente con la madre che dice "Ti vedo un po' dimagrito, stai mangiando?".

Non sempre, per fortuna, il luogo comune prevale. Le nuove generazioni di immigrati (soprattutto quelle che si affacciano su internet) narrano anche storie nelle quali il pregiudizio viene sconfitto sul campo. Il 7 dicembre scorso, su un blog intitolato "Storie di un disadattato a Londra", un anonimo immigrato italiano negli uffici della City narrava i primordi del disastro dell'economia mondiale: "In questo momento - confessava - tutta la mia vita gira intorno al credit crunch, questa crisi finanziaria che sta schiacciando le nostre vite con mano sempre più pesante e della quale ora seriamente vediamo gli effetti sulla nostra vita quotidiana. Venerdì scorso ho assistito personalmente all'eliminazione di un collega del mio dipartimento. Lavorava nel mio ufficio da 15 anni, è stato invitato ad abbandonare il posto di lavoro proprio 10 minuti dopo essere entrato ed averci detto "Good morning". Lo so che a voi italiani questa cosa suonerà come fantascienza, lo stesso effetto che faceva a me fino a poco tempo fa. Eppure in Inghilterra un'azienda in difficoltà ha la piena possibilità di chiudere per sempre una posizione di lavoro licenziando il relativo dipendente a patto di pagargli il dovuto mese di preavviso". Quel che sorprende il bancario italiano è proprio il fatto di essere stato risparmiato: "Sebbene logicamente come ultimo arrivato avrei dovuto essere il primo a partire, alla prova dei fatti così non é stato: il direttore ha deciso di salvarmi. Per chi abita a Londra io potevo essere un semplice immigrato di una nazione straniera, eppure il direttore di dipartimento ha dimostrato di credere nelle mie capacità al punto da sacrificare un suo connazionale per me, il mio capo mi ha dato fiducia al punto di andare ad una partita di football lasciando 12 persone sotto la mia direzione, io stesso non ho sentito un minimo senso di prevenzione o di pregiudizio nei miei confronti e tutto questo sotto il peso dello standard di una banca internazionale. Non so se, rimanendo nella banca italiana dove lavoravo sei anni fa, sarei stato valorizzato in questo modo".

Rose e fiori? Chiedere agli operai della Irem di Grimsby per avere una sicura smentita. E poi il lavoro non è tutto. Sono soprattutto le donne a lasciar trasparire dai blog i loro sentimenti. Perché la scelta di emigrare è spesso un sottile punto di equilibrio tra la possibilità di guadagnare meglio e la rinuncia ad abitudini consolidate nelle generazioni. Si dice di no a un ambiente familiare (e alle sue sicurezze) in cambio della possibilità di migliorare sensibilmente il reddito e le opportunità di carriera. Ma anche chi sceglie le seconde attraversa i momenti difficili della nostalgia. Francesca Rossi scrive dalla Germania. Titolo del blog: "TuttinColonia". E confessa che "quello che mi manca di più dell'Italia, ovviamente oltre ai parenti e agli amici, sono il reparto frutta e verdura e il banco gastronomia dell'Esselunga. Parlare di depressione è esagerato ma di fronte ai quei miseri metri quadrati di cavoli e mele mi prende una certa malinconia".

Francesca si stupisce della vita nel suo quartiere di immigrati dove "un terzo degli appartamenti è occupato da italiani: i più giovani sono nati qui, possiedono un rottweiler e indossano felpe con su scritto Italia". Mentre i più anziani "sono qui da trent'anni, ti salutano dicendoti "buonggionno", usano ancora la brillantina Linetti, hanno il baffo sottile e curato e non conoscono una parola di tedesco "tanto qui frequentiamo solo compaesani". L'unica cosa che non cambia a nessuna latitudine sono i portinai: pettegoli e ficcanaso. Meno male che, per il momento, i nostri ci portano su un palmo di mano perché, vista la composizione del condominio, noi rientriamo nella voce 'inquilini rispettabili'".

Il ciclone della crisi economica si abbatte sui luoghi comuni e sulle abitudini consolidate nei decenni. I cittadini italiani all'estero sono esattamente lo stesso numero degli stranieri regolarmente presenti in Italia, tre milioni e mezzo. Per ogni italiano trattato da romeno all'estero c'è un romeno trattato da romeno in Italia. Proprio adesso che il benessere (e l'emigrazione dal sud del mondo) aveva fatto salire gli italiani nella scala sociale mondiale, il gioco del mattone dei mutui suprime ci fa nuovamente ruzzolare giù dai gradini.

Anche i manager tremano. Luciano scrive da Nanchino: è ingegnere e si firma "TomcatUsa". Confessa che sta attraversando un periodo difficile: "Il problema è che qui in Cina le cose cambiano molto rapidamente e in un attimo si passa dall'essere un asset strategico a un costo da eliminare. Capita di ricevere all'improvviso una chiamata dall'Europa: "Caro ingegnere saprà che al momento c'è molta incertezza nei mercati, le borse sono in crisi". "Immagino, ma d'altra parte questo è anche il momento in cui si dovrebbe investire per quando la situazione migliorerà". "Sarà ma noi al momento non ce la sentiamo di investire per cui abbiamo deciso di sospendere il progetto, almeno per un po'". "Decisamente una brutta notizia, io sono qui per questo progetto". "Non si preoccupi, si tratta solo di uno stop temporaneo: diciamo 6-8 mesi, giusto per capire cosa succede"". Il blog di Luciano finisce così, con un licenziamento in diretta: "Al momento - ammette - non so bene dove andrò e nemmeno cosa farò. Magari tra un po' ci ritornerò in Cina, chissà. O magari non ci tornerò più e rileggendo tra qualche anno i post che ho scritto sorriderò al pensiero di quante cose siano successe durante la mia permanenza qui. Per ora non mi resta che salutarvi e ringraziarvi per il tempo che avete dedicato alla lettura dei miei post e per i vostri commenti che mi hanno tenuto compagnia durante questi due anni di permanenza qui, nella Terra di Mezzo". La terra in mezzo ai luoghi comuni, tra italiani, italians e il resto del mondo.

(2 febbraio 2009)

Fonte: La Repubblica.

1 commento:

Anonimo ha detto...

DALL’INTOLLERANZA AL RAZZISMO.
Il dovere di ricordare

di Laura Tussi

L'intolleranza consiste nell'atteggiamento abituale di chi avversa le opinioni altrui, specialmente in materia politica e religiosa.
È un atteggiamento improntato ad una rigida e risentita chiusura dogmatica nei confronti degli altri, che si manifesta dalle origini dell'uomo, con la sottomissione degli schiavi, le persecuzioni degli eretici, l'antisemitismo e con fatti di violenza verso i migranti e i non comunitari.
L'intolleranza si manifesta anche contro i Sinti e i Rom perché gli abitanti delle nazioni che li ospitano si considerano appartenenti ad una patria costituita da una sola razza, poiché lo spirito nazionalistico li rende ostili a razze diverse.
Attualmente l'intolleranza ha raggiunto livelli non più sopportabili a causa della convivenza tra popoli differenti ed è motivata da un'ignoranza diffusa rispetto alle persone che la società reputa diverse, perché la gente ha sempre paura dell'ignoto e di tutto ciò che è estraneo e sconosciuto.
Un motivo che alimenta l'intolleranza è la mancanza di valori da parte delle persone che maltrattano i migranti e i non comunitari.
Anche in politica è diffusa l'ostilità.
Infatti, in modo frequente, in televisione, nei dibattiti e nei telegiornali si può assistere a discussioni molto animate tra uomini politici e anche queste sono forme di intolleranza.
Sembra impossibile che dalle scoperte di Mendel, il mondo debba ancora essere turbato dal prolungato uso del concetto di razza, reso insostenibile dallo sviluppo della genetica moderna.

La complessa opera di educazione e istruzione dello Stato popolare deve trovare il proprio coronamento nel riuscire a far diventare istintivo il sentimento di razza nel cuore e nel cervello della gioventù. Nessun fanciullo e nessuna fanciulla deve lasciare la scuola senza essersi reso conto fino in fondo dell'essenza della necessità della purezza del sangue.

Queste parole di Adolfo Hitler nel Mein Kampf inducevano alle incredibili crudeltà dei campi di concentramento e di sterminio.
La biologia moderna ha dimostrato che il concetto di razza e di sangue sono infondati.
La genetica ha mostrato come non esiste una purezza di caratteri ereditari entro popolazioni umane. Nonostante questi fondamentali principi scientifici, si manifestano attualmente forme di razzismo nei confronti degli ebrei e di tutti i “meridionali” e i diversi del mondo.
Il termine razzismo indica l'ideologia che distingue la razza umana divisa in razze superiori ed inferiori e che prevede la supremazia della razza forte su quella più debole.
Attualmente e in passato, le vittime di questa ideologia razzista sono state la razza nera e quella ebrea.
Il razzismo comporta pregiudizi, stereotipi mentali, presenti nella società, che se anche non necessariamente si esprimono in discriminazioni, possono essere sfruttati da movimenti politici radicali, che tentano di mobilitare in lotte assurde e incivili, in nome della supremazia del più forte sul più debole.
In Germania avvengono ancora manifestazioni neonaziste, dove, da una parte, si distinguono i nostalgici, i veterani di guerra, e dall'altra stanno invece giovani estremisti per cui il nazismo è un elemento di aggregazione.
Questi ultimi, detti naziskin, hanno bisogno dell'autorità di un capo che li guidi e abbia capacità di scelta e dia loro l'impressione di essere forti e non avere paura di niente.
L'intolleranza è diffusa e radicata nella nostra società, come violenza morale e fisica manifestata contro le persone portatrici di una diversità, tra cui gli ebrei, gli immigrati, le persone di colore, gli omosessuali.
L'intolleranza si manifesta in forma violenta e pericolosa.
I naziskin si rifanno agli ideali nazisti di violenza e intolleranza contro una vasta gamma di tipologie di persone considerate inferiori e diverse.
In Italia, oltre al problema naziskin, esiste il razzismo che rappresenta l'intolleranza per eccellenza. Cosa è possibile fare per escludere questo problema dalla società? Risulta necessario eliminare le discriminazioni anche all'interno di uno stesso popolo, per esempio in Italia, tra settentrionali e meridionali, perché prima di giudicare occorre conoscere.
Il razzismo, che per anni è rimasto sotterraneo, tenuto a bada perché combattuto dai partiti di sinistra, dall'associazionismo cattolico, trova adesso legittimità, in un momento di crisi economica, politica e culturale, nei fenomeni di violenza di gruppo, nei gruppi di tifosi intolleranti, nelle ronde organizzate, che fomentano raduni per eliminare lo straniero, l'immigrato, il diverso.
La crisi economica, morale e culturale che colpisce il nostro paese rischia di travolgere anche le ultime trincee della solidarietà e dell'aiuto reciproco, dove il vero problema è quella sorta di indifferenza e di silenzio che ottenebra le persone.
Ciò che più meraviglia è che proprio l'Italia, un Paese risorto sulle ceneri del regime fascista, trova difficoltà a reagire al problema del razzismo e non riesce a trovare nella propria storia e nella sua memoria gli anticorpi per risolverlo.
Stiamo perdendo la memoria storica e un popolo senza memoria non ha futuro.
Cresce sempre il rischio che si diffondano maggiormente atteggiamenti razzisti come conseguenza dell'insicurezza generale che si vive con la crisi economica, morale e culturale.
In un periodo di profonda incertezza politica, le paure vengono amplificate e cresce così la necessità di difesa.
Tutti in un certo senso siamo razzisti, almeno implicitamente nei fatti, nel silenzio, nella debolezza delle reazioni, nella scarsa volontà di capire, nell'esibire striscioni razzisti allo stadio.
Il paradosso di questo nostro Paese è che la parola solidarietà appare vuota e inutile anche se viene costantemente ripetuta e gridata.
Il razzismo si deve affrontare non solo sul piano politico e psicosociale, ma anche sul piano globale, a livello culturale.
L'oscuramento della ragione si deve all'aver accolto, forse all'inizio inconsapevolmente, per una scarsa coscienza morale, i miti dell'intolleranza fanatica, della disuguaglianza tra gli uomini e della conseguente riduzione dell'avversario a una condizione subumana e della convinzione della sovrumana qualità del proprio gruppo perennemente costretto a difendersi dall'oscura congiura dei sottouomini corruttori della propria razza primigenia e perfetta.
L'ignoranza degli avvenimenti della nostra storia recente è causata non soltanto dai programmi scolastici e nemmeno dal poco tempo che rimane all'insegnante di storia, oppresso dalla vastità della materia, ma dalla coscienza civica di ogni singolo individuo nella scelta di trasmettere quanto è avvenuto con il dovere di ricordare.
Il contatto diretto con i protagonisti dei lager è l'aspetto più affascinante, ma anche pericoloso della storia orale perché inevitabilmente soggetto all'emotività.
Quello che manca delle testimonianze è un quadro complessivo, una serie di narrazioni che permettano un paragone, un confronto tra diverse storie ed una racconto del quotidiano, delle giornate sempre uguali e spossanti, nell'obiettivo e nel fine ultimi del deportato: arrivare a sera, rimanendo vivo.
La resistenza alla spersonalizzazione e all'annientamento era costituita da piccoli episodi, che si presentavano ogni giorno e dovevano essere superati se si voleva, e poteva, evitare di essere sommersi.
È possibile essere nazisti, in maniera praticamente inconsapevole, anche in un paese democratico, attraverso quella promozione istituzionale dell'aggressività che consiste nel far parte delle forze armate e di sicurezza, le quali sono considerate indispensabili anche in un paese che voglia mantenersi neutrale.
Forze di polizia ed eserciti rappresentano una riserva di aggressività istituzionalizzata e autorizzata, con il fine di conservare il sistema, generando dimestichezza e abitudine all'aggressività, confermando una cultura della violenza suffragata e dimostrata dai mass media.
Un altro esempio di promozione istituzionale è l'emarginazione.
In ogni paese considerato civile sussistono organizzazioni pubbliche e private che si occupano istituzionalmente del controllo della devianza, che viene così messa sotto controllo per non nuocere e non creare problemi.
Dunque occorrono dei devianti per attribuire al resto dei cittadini la patente di normalità.
Questo accade nel nostro mondo equilibrato e civile come ha assunto connotazioni drammatiche nell'Europa nazista e attualmente ancora negli Stati in cui i diritti umani vengono sistematicamente negati e violati.
Il disimpegno è un altro esempio di promozione istituzionale che privilegia lo status quo, il noto, il già collaudato, le mode e la non partecipazione attiva, la stasi e la non consapevolezza.
In questa mentalità sono inserite anche la scuola, le istituzioni politiche, culturali e religiose quasi a sottolineare che il pensiero sociale, progressista e lungimirante non paga, sia a livello individuale, sia collettivo.
Questo atteggiamento molto diffuso ha vantaggi in termini di governabilità, perché la banalizzazione dell'esistenza, la minaccia dell'emarginazione, se non si seguono le leggi della subcultura del proprio gruppo di appartenenza, l'aggressività e la violenza vissute come valore accettabile in determinati contesti, sono la risoluzione per governi mediocri, in lotta per la supremazia e per garantire a chi detiene il potere la minore opposizione possibile, dove i mass media sono in grado di pubblicizzare rapidamente il nemico e il capro espiatorio, come la minoranza etnica, l'atto terroristico, la catastrofe ecologica, fino al più banale dei fatti di cronaca.

Laura Tussi

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