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domenica 12 luglio 2009

La Romania in Occidente: un valore aggiunto per NATO ed UE Mondo


Nuova Europa
Intervista a Adrian Nastase di Emiliano Stornelli
11 Luglio 2009

L’allargamento dell’Unione europea (UE) ai paesi dello sconfitto Patto di Varsavia è stato oggetto di molte critiche. L’ulteriore indebolimento delle istituzioni comunitarie, la crescente insicurezza determinata dall’estensione dell’area di Schengen, la dispersione dei fondi europei nelle ampie sacche di corruzione dei paesi ex comunisti in Europa orientale: sono questi i principali argomenti utilizzati dai detrattori dell’allargamento per stigmatizzare quella che finora è stata forse l’unica e seria espressione di una politica estera comune targata UE. Nell’occhio del ciclone, in particolare, è finita la Romania. E’ innegabile che i suoi problemi interni abbiano causato numerose tensioni con il resto dei paesi membri, Italia su tutti. Ma la medaglia ha anche un volto positivo, meno visibile, e che nondimeno giustifica pienamente l’adesione della Romania nell’Unione, nonché il suo inserimento nello spazio di sicurezza euro-atlantico difeso dalla NATO. Per scoprire le due facce dell’integrazione rumena nel blocco occidentale, non c’è figura più all'altezza di Adrian Nastase, già primo ministro degli Esteri della Romania post-Ceauşescu e in seguito capo del governo. Nastase è attualmente vice presidente della Camera e presidente della fondazione intitolata al diplomatico rumeno "Nicolae Titulescu".

Signor Presidente, la Romania è recentemente entrata a far parte della NATO e dell’Unione Europea. Che contributo specifico può offrire a queste due importanti organizzazioni?
Il nostro è un valore aggiunto utilissimo sia alla NATO che all’UE. Cominciamo dalla NATO. All’indomani della Guerra Fredda, nello spazio euro-atlantico si era venuto a creare un vuoto di sicurezza tra la Turchia e la Grecia. Per riempire questo vuoto la NATO aveva bisogno di Romania e Bulgaria. E’ come in un puzzle dove mancano due pezzi per avere la figura completa. Per la NATO, in secondo luogo, era importante definire chiaramente lo status internazionale dei paesi confinanti con l’ex Unione Sovietica, e la Romania condivide una lunga frontiera con l’Ucraina. Da parte nostra, dopo l’11 settembre abbiamo partecipato attivamente allo sforzo della NATO contro il terrorismo, inviando truppe in Afghanistan e fornendo intelligence. Nel 2002 siamo entrati ufficialmente a far parte dell’Alleanza Atlantica e il nostro importante contributo è stato riconosciuto con l’organizzazione a Bucarest del summit NATO nell’aprile 2008. Abbiamo anche avuto un ruolo costruttivo nella stabilizzazione Balcani, come in Kosovo e nel resto dell’ex Jugoslavia.

Per quanto riguarda i rapporti con l’UE, abbiamo sviluppato strettissime relazioni economiche con i suoi paesi membri fin dai primi anni ‘90. Oggi che ne siamo parte a tutti gli effetti, oltre il 70 per cento delle nostre esportazioni va verso paesi europei. In termini economici, la Romania rappresenta dopo la Polonia il secondo mercato per le imprese occidentali in Europa orientale. Già prima del nostro ingresso, gli investimenti europei in Romania avevano già generato un’integrazione di fatto nell’UE, al riparo dell’ombrello di sicurezza garantitoci dalla NATO. A quel punto, la gran parte degli investitori stranieri in Romania ha voluto le stesse regole e la stessa libertà d’investimento dei loro paesi d’origine. Finora, tuttavia, le difficoltà economiche che abbiamo dovuto fronteggiare, e che sono state aggravate ulteriormente dalla crisi in corso, non ci hanno permesso di crescere in termini di PIL come avremmo voluto, anche se ci sono già chiare prospettive per importanti investimenti nel settore agro-industriale, nel settore energetico e in altri ancora. La Romania è diventata uno dei principali fornitori di componenti per le industrie automobilistiche in Europa e numerosissime sono le joint ventures create con operatori stranieri, di cui ben 30 mila in partnership con voi italiani. La Romania può quindi contribuire alla ricchezza dell’Europa generando business in diverse aree.

Dal punto di vista politico, dobbiamo ammettere che abbiamo incontrato delle difficoltà. Non è stato facile per noi adattarci alle regole, agli standard e alla mentalità dell’UE. L’acquis communautaire è composto da circa mille pagine, soltanto per tradurlo c’è voluto un grande sforzo e per rispettarlo ce ne vorrà ancora di più, anche in termini di tempo. La Romania sta comunque giocando un ruolo importante nella politica estera e di sicurezza europea, come nella “Sinergia del Mar Nero”.

Come sono i rapporti della Romania con la Russia? Mosca è considerata un partner affidabile o una minaccia alla sicurezza regionale?
I nostri rapporti con la Russia sono influenzati psicologicamente da quanto è accaduto in passato. L’avanzata del sistema comunista in Europa è cominciata proprio con l’occupazione sovietica della Romania dopo la seconda guerra mondiale. Ed è a causa dei russi che in Romania c’è stato così a lungo il dominio del comunismo. I russi hanno molte colpe storiche verso la Romania. La nostra è una nazione latina, legata all’Occidente da secoli di storia, ma è divenuta parte dell’impero sovietico e ciò è stata causa di grande frustrazione per i rumeni. La seconda guerra mondiale, inoltre, ha determinato per noi la perdita di territori importanti come la Moldavia, la parte settentrionale della Bucovina e quella meridionale della Bessarabia, che tra le due guerre erano parte della Romania e non dell’Ucraina. Le conseguenza del patto Ribbentrop-Molotov ci hanno danneggiato. Non dico questo perché, in quanto rumeno, vorrei riavere indietro quei territori: la storia è la storia. Dico questo perché ci sono motivazioni storiche che rendono tesi i rapporti tra Romania e Russia. Aggiungo un altro episodio: il fatto, cioè, che i rumeni non abbiano partecipato all’invasione della Cecoslovacchia nel ‘68. Per quanto riguarda l’attualità, guardiamo con preoccupazione al tentativo russo di recuperare l’influenza esercitata in precedenza nei territori dell’ex Unione Sovietica. Dopo l’intervento della scorsa estate in Georgia, Mosca ha rivelato chiaramente l’intenzione di ristabilire la sua zona d’influenza, riportando indietro le pagine della storia.

L’influenza russa in Moldavia preoccupa Bucarest?
Mosca esercita una notevole influenza su Chisinau, facendo leva sull’elite filo-russa del paese. Si tratta di persone che hanno studiato e vissuto a Mosca, che guardano il mondo attraverso la finestra del Cremlino, che parlano solo russo come lingua straniera e hanno nella Russia il loro punto di riferimento. Mosca offre loro borse di studio, l’opportunità di viaggiare senza visto in territorio russo e di trovare facilmente un posto di lavoro. La Russia, insomma, sta facendo quello che l’UE dovrebbe fare ma non fa. E’ una vera sfida, ma l’Europa non fa nulla per vincerla. Per questo sono piuttosto pessimista sul fatto che il modello europeo possa essere accettato in un paese come la Moldavia. E lo stesso vale per i paesi della neonata “Eastern partnership”, specie per Armenia, Azerbaijan e Bielorussia, con cui non sarà possibile ripetere quanto fatto nei Balcani occidentali, promettendo un futuro ingresso nell’UE in cambio di riforme in senso democratico. Questi paesi prendono le offerte dell’UE à la carte, prendono cioè quello che è nel loro interesse, mentre giocano l’Europa e la Russia l’uno contro l’altro per i loro scopi. Va poi considerato che la Russia sta cercando di limitare la sovranità di questi paesi, mettendoli sempre più sotto pressione al fine di subordinare le loro politiche a quelle di Mosca. E’ ciò che un analista ha chiamato “desovranizzazione”. Quindi l’ingresso della Romania è stato un bene per l’UE, perché la sua presenza rafforza geopoliticamente l’Europa rispetto alla Russia; d’altro canto, è stato un bene anche per noi perché in quanto membri dell’Unione non siamo una zona cuscinetto tra Europa e Russia. Non a caso, quando ero primo ministro il mio obiettivo principale era proprio quello di favorire l’ingresso della Romania nella NATO e nell’UE, in modo da rendere chiaro il profilo internazionale del paese.

Le relazioni tra Romania e Italia hanno subito diverse tensioni dovute al fattore immigrazione. Che ne pensa?
Come ho già detto altre volte, i rumeni in Italia e negli altri paesi d’Europa non possono più essere considerati immigrati. Potevano esserlo prima del 2007, quando la Romania non era ancora entrata nell’UE. Ma oggi, al pari di tutti i cittadini degli altri paesi membri, i rumeni hanno il diritto di muoversi liberamente all’interno dell’Unione. Non sono immigrati come lo sono i nord-africani, ad esempio, sono come i tedeschi che vanno a vivere in Francia. Per i rumeni, pertanto, non si può parlare di immigrazione illegale, perché non sono né immigrati né illegali. La presenza rumena in Italia è stata poi favorita dalle industrie che volevano forza lavoro a costo più basso. Naturalmente ci sono le leggi italiane che devono essere rispettate, ma molti rumeni non erano pronti a vivere in un paese come l’Italia o in altri paesi occidentali; non erano pronti per l’integrazione. Molti di loro hanno vissuto e vivono ancora come soldati spediti dall’altra parte del mondo; hanno sofferto il distacco dalla famiglia, dalla loro comunità di origine, e per questo si sono sentiti autorizzati a fare cose che non avrebbero mai fatto in Romania. Per questo motivo, la chiesa ortodossa e il suo vescovo in Italia possono svolgere un ruolo importante nel ridare ai rumeni in difficoltà il senso del rispetto per loro stessi e per la comunità dove vivono. Dal punto di vista politico, a parte le polemiche dei mesi scorsi, non c’è stata sufficiente cooperazione tra le autorità dei due paesi per prevenire i problemi di sicurezza che si sono venuti a verificare. Adesso, però, le cose vanno meglio, sono stati siglati accordi importanti che hanno migliorato la situazione sul campo. Importante è che il dialogo tra autorità italiane e rumene rimanga costante.

Barack Obama è stato in questi giorni in Italia per il G8. Cosa si aspetta dall’amministrazione del nuovo presidente americano?
Obama sembra voler adottare un nuovo approccio rispetto all’amministrazione precedente, ma la sua strategia non è ancora molto chiara. Quel che è certo è che la Romania e i Balcani in generale non sono in cima all’agenda della Casa Bianca in questo momento. Credo che l’anno in corso servirà a ricalibrare i rapporti con la Russia e che il Medio Oriente sarà sempre al centro dell’attenzione, l’Iran in particolare. Sono rimasto sorpreso per il fatto che il Kosovo non abbia avuto finora molto spazio nell’agenda del presidente americano, per quanto i democratici considerino fondamentali gli sviluppi in Kosovo. I rapporti con l’Europa non sono stati finora molto intensi, forse perché Obama sta aspettando i risultati delle elezioni in Germania e la ratifica del nuovo presidente della Commissione europea. Gli USA aspettano inoltre di verificare quale sarà il comportamento europeo su importanti dossier come Iran e Afghanistan. Nei prossimi mesi, dunque, non vedremo Stati Uniti e Unione europea lavorare molto insieme. Gli USA sono concentrati sulle relazioni bilaterali con la Russia, e anche con la Cina. E poi si concentreranno di più sul Sud America.

Riusciranno Stati Uniti e Russia a trovare una qualche forma di accomodamento funzionale?
Sono sicuro di sì, hanno già iniziato. Anche sullo scudo antimissile; sono entrambi molto pratici. Sia negli USA che in Russia i complessi economico-militari esercitano una forte pressione, ma con la crisi economica le priorità sono cambiate e le risorse verranno orientate per far fronte alle conseguenze della crisi.

Di un eventuale grande accordo tra Stati Uniti e Russia saranno Georgia ed Ucraina a fare le spese?
Forse sono troppo netto, ma la Georgia, l’intera Georgia, è già stata lasciata alla Russia. L’ingresso delle truppe russe in Georgia, con l’occupazione di una parte del suo territorio, e la reazione soft da parte della NATO, hanno segnato, a mio modo di vedere, la fine del mondo unipolare uscito dalla Guerra fredda, con tutte le sue conseguenze.

Fonte: L'Occidentale.

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