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giovedì 11 febbraio 2010

Cremona - Anch'io accusato dal prete, ma il giudice mi ha creduto

Disoccupato: prestazioni col don e lui mi pagava’

Dopo il romeno, caso simile con lo stesso parroco: 50enne prosciolto dalla tentata estorsione

di Francesca Morandi

«Anch’io sono stato accusato da quello stesso prete di aver tentato di estorcergli denaro con la minaccia che avrei rivelato al vescovo la nostra relazione omosessuale. Il giudice mi ha però prosciolto, perché la verità è un’altra ed è scritta nella motivazione della sentenza». La verità di un cinquantenne di Cremona, disoccupato, per casa il dormitorio e «solo perché in stato di bisogno e necessità» offrì al prete prestazioni sessuali in cambio di denaro, arriva il giorno dopo la condanna per estorsione a 5 anni e 6 mesi di reclusione di Leonard Tanasie: il romeno di 25 anni, disoccupato e con una moglie e tre figli da mantenere, finito in galera per aver estorto denaro e ricattato con una foto imbarazzante il prete con cui aveva avuto una relazione omosessuale, ammessa dallo stesso sacerdote al processo. Il caso Tanasie risale al gennaio 2006. I fatti che tempo fa hanno portato il cinquantenne davanti al gup Pierpaolo Beluzzi risalgono al 10 febbraio 2007, quando in canonica si presentarono i carabinieri. Li chiamò il don, preoccupato che l’uomo, seduto non lontano dalla chiesa, «facesse scenate in parrocchia». Nelle cinque pagine di motivazione della sentenza con cui il gup Beluzzi ha dichiarato il «non luogo a procedere» per il cinquantenne, si racconta che ai carabinieri il sacerdote riferì di «aver aiutato economicamente in precedenza» l’uomo, dandogli cento euro perché non venisse espulso dal dormitorio. E che «da ultimo», il cinquantenne «mi aveva richiesto somme di denaro più ingenti, 200-300 euro alla volta. Di fronte al mio rifiuto, lui mi aveva minacciato di andare a riferire al signor vescovo che avevamo avuto una relazione sessuale». Il parroco riferì ai carabinieri di essere stato vittima nei mesi passati di un’altra estorsione (il caso Tanasie) e di averli chiamati «per evitare scenate in parrocchia». Specificò che «il vescovo era a conoscenza delle vicende pregresse, in particolar modo della vicenda del romeno, per altro uscita sui giornali e diventa di fatto di dominio pubblico». Scattò l’indagine, e il 25 settembre successivo, i carabinieri fermarono il cinquantenne in bicicletta vicino alla canonica. Era nervoso e riferì di «essersi recato dal prete per chiedergli dei soldi, affermando di avere ottenuto diversi pagamenti ‘spillati’ dal parroco per prestazioni sessuali». Beluzzi non ha mandato a giudizio il cinquantenne, perché «non emergono sufficienti elementi accusatori». Perché «la versione fornita» dal prete «non riesce a trovare intrinseci elementi di attendibilità tali da superare in maniera incontrovertibile la versione fornita dall’indagato, il quale, con sorprendente coerenza, ha sin da subito affermato l’esistenza di prestazioni a sfondo sessuale offerte al parroco dietro il pagamento di somme di denaro. La reazione di ‘rabbia’ e discussione con il prelato viene subito ammessa dall’indagato». Rabbia «connessa anche con le (a lui note) nuove frequentazioni del sacerdote». Per il giudice, il sacerdote «non ha in alcun modo percepito la prospettazione di un danno ingiusto dalle parole riferire dall’imputato», cioè di raccontare al vescovo la asserita relazione sessuale», perché il vescovo «era già a conoscenza dei fatti pregressi». Per il giudice «diventa pertanto difficile riuscire ad individuare il limite fra mere ‘scenate’ connesse ad una relazione a sfondo sessuale e certamente correlate anche a dazioni di denaro per un sostegno economico e vere proprie minacce dirette ad ottenere l’adempimento di una cosiddetta ‘obbligazione naturale’ o a puro scopo estorsivo».

Fonte: NotizieGay

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