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sabato 20 novembre 2010

La mano strappata riattaccata in sei ore

BUONA SANITÀ. Salvato l'arto dell'operaia vittima di un incidente sul lavoro a Trevenzuolo. La donna ferita: «Sono stata molto fortunata a trovare questi dottori. Ma non guardo la ferita, non voglio ricordare quei momenti orribili»

17/11/2010
Daniela guarda i medici che le hanno salvato la mano strappata: Garofano e Girardelli. DIENNE FOTO Verona. Daniela guarda la sua mano e commossa guarda i medici che quella mano gliel'hanno salvata. Domenica, Daniela Deacuno, 41 anni, operaia romena che lavora a Trevenzuolo alla Anodal, era in turno, quello di notte intenta a tagliare lastre di alluminio. Alle cinque la sua mano sinistra è finita in un macchinario che gliel'ha strappata. Una serie di fratture, tendini sfilacciati.
Lei quella mano l'ha vista là nel macchinario. Attaccata al suo corpo soltanto la parte con il pollice. I suoi colleghi hanno preso il pezzo di arto, l'hanno messo in ghiaccio e chiamato l'ambulanza che ha portato la donna a chirurgia della mano a Borgo Roma, nel reparto diretto dal professor Roberto Adani. L'equipe con il dottor Alberto Garofano e la dottoressa Carmen Girardelli ha lavorato per sei ore consecutive assieme ad altri due specializzandi e a due anestesisti che si sono alternati e ha ricostruito legamenti, ricomposto fratture, il più in fretta possibile perchè come hanno sottolineato i medici prima si riattacca l'arto, prima si rivascolarizza più possibilità si hanno che l'intervento abbia successo.
«Sono stata fortunata a trovare questi bravi medici», ha detto Daniela ieri pomeriggio sdraiata nel suo letto d'ospedale. La sua «manona» fasciata nelle garze che tengono anche il dranaggio lei non la vuole vedere quando gliela medicano.
«Non la voglio guardare. Mi fa impressione. Non voglio neanche ricordare che cosa ho provato quando l'ho vista in mezzo al macchinario. Non è tanto il dolore, è proprio quel ricordo orribile che ricordo con chiarezza», dice, voltando la testa come se soltando il ricordo le desse fastidio e lo volesse cancellare, rimuovere.
«Il fatto che la paziente non voglia vedere la sua mano è uno choc comprensibile», ha detto il dottor Garofano, «passerà con un po' di tempo. In questo momento nons ente l'arto come suo, ma è normalissimo. Sono molto importanti le prossime ore per verificare la reazione delle dita anche se parzialmente la paziente le muove già. Tra una ventina di giorni comincerà la riabilitazione e poi piano piano potrà tornare a una vita normale».
La paziente guarda i medici e ripete: «Sono stata fortunata a trovarli, sono stati bravi, io ho ancora la mia mano. Fosse successo da me, a casa, chissà che fine avrei fatto, non vanno tanto per il sottile là».
La sanità romena s'avvicina alla nostra nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Se Daniela fosse stata in patria sarebbe rimasta con il suo moncherino e disabile parzialmente al lavoro.
«Facciamo circa 300 interrventi l'anno, non tutti in emergenza», ha spiegato il dottor Garofano, «alcuni sono di ricostruzione, altri sono per subamputazioni. Quasi il 70% di questi traumi sono dovuti a infortuni sul lavoro e nella maggior parte dei casi si tratta di cittadini stranieri che vengono messi a lavorare a una macchina con tecnologie sconosciute e scarsa preparazione». Su Borgo Roma inoltre gravitano anche altre regioni come la Lombardia, il Trentino Alto Adige e il Friuli. Questi interventi sono molto costosi sia sotto il profilo medico sanitario che per quello sociale. La paziente, in questo caso, non potrà tornare a lavorare prima di sei mesi».
Ed è facile ipotizzare che Daniela non tornerà a lavorare con l'alluminio e i macchinari. Ha un marito, un bambino di nove anni e voglia di vivere una vita normale, adesso che può farlo di nuovo.
di Alessandra Vaccari

Fonte: L'Arena

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