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venerdì 18 febbraio 2011

La Consulta: "Non si può negare il welfare sulla base dell'anzianità di residenza"

La Corte boccia il requisito imposto dal Friuli Venezia Giulia (e da molte amministrazioni nel Nord Est) che escludeva dal fondo-povertà i cittadini stranieri (e italiani) residenti nel territorio regionale da meno di 36 mesi: "Vìola la Costituzione e rischia di danneggiare proprio chi ha più bisogno di sostegno"
di ELISA COZZARINI

Cittadini indiani della folta comunità sikh residente a Pasiano di Pordenone (Foto Cozzarini)

PORDENONE - È illegittimo negare a un cittadino l'accesso al welfare solo in base alla sua anzianità di residenza in un dato territorio. E' questa la ragione sostanziale per cui la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma che nella legge regionale del Friuli Venezia Giulia escludeva dai benefici del fondo anti-povertà i cittadini extracomunitari, comunitari o anche italiani residenti in regione da meno di 36 mesi.

La Corte, con la sentenza numero 40 del 7 febbraio scorso, ha bocciato la norma - fortemente voluta dalla Lega e Nord e inserita finanziaria regionale 2010 approvata a dicembre 2009 - perché viola i principi di eguaglianza e ragionevolezza. I benefici sociali previsti, infatti, secondo i giudici della Consulta hanno l'obiettivo di affrontare situazioni di bisogno e di disagio che si riferiscono alla persona in quanto tale e non dipendono dalla sua nazionalità o anzianità di residenza. La sentenza sottolinea che l'applicazione di simili requisiti, anzi, finirebbe proprio per escludere i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio. Il sistema di prestazioni e servizi, invece, deve perseguire finalità sociali e di integrazione.

La disposizione aveva sollevato da subito grandi polemiche anche da parte di molti enti locali friulani ed era stata la stessa presidenza del consiglio a impugnarla di fronte alla Corte costituzionale. Per questo la Regione, nel luglio del 2010, aveva rimosso i requisiti "discriminatori" di cittadinanza e di residenza, ritenendo così di aver eliminato la materia del contendere. Ma questo non è bastato: la Corte costituzionale si è comunque pronunciata perché, nel tempo in cui è rimasta in vigore (fra gennaio e agosto 2010), la norma aveva esplicato i suoi effetti, escludendo molti cittadini di origine straniera, ma anche italiani, dall'accesso ai servizi sociali ed ai benefici del sistema assistenziale regionale.

"E' evidente che il ragionamento della Corte Costituzionale - afferma l'Associazione di studi giuridici sull'immigrazione (Asgi) - , anche se riferito a una determinata legge può essere applicato a tutte quelle normative sul welfare approvate negli ultimi tre anni dalla giunta di centrodestra, che hanno vincolato l'accesso al welfare familiare e sociale a requisiti di cittadinanza o di anzianità di residenza, con il chiaro obiettivo di escludere il maggior numero possibile di cittadini stranieri".

L'Asgi si riferisce in particolare alla legge regionale 18 del 2009, approvata su iniziativa leghista, che in base a quei criteri limita l'accesso a diverse prestazioni: dalla carta famiglia agli assegni di studio, dai contributi per i servizi alla prima infanzia al sostegno per l'affitto. Nel 2010, poi, la nuova legge regionale sulla famiglia ha introdotto il criterio generale di priorità ai nuclei in cui almeno uno dei genitori sia residente in Italia da otto anni, di cui uno in Friuli. Anche per concorrere ai bandi per le case popolari dal 2008 o per beneficiare dei bonus bebè è necessario risiedere in Friuli Venezia Giulia almeno da 5 anni.

Gli effetti della sentenza, però, possono andare ben oltre i confini del Friuli perché il criterio della residenza minima è stato utilizzato da molte amministrazioni, soprattutto a guida leghista e nel Nord Est (ma anche in Trentino-Alto Adige) come norma di sbarramento a tutela degli autoctoni contro la "invadenza" degli immigrati residenti sul territorio nella corsa al welfare, a partire dalle case popolari. Era stata del resto la stessa finanziaria del 2008 a prevedere per gli immigrati i dieci anni di residenza in Italia per l'accesso ad alcuni servizi sociali.

Il carattere discriminatorio di queste leggi, in Friuli Venezia Giulia, era già stato dichiarato da alcune sentenze del tribunale di Udine. Nel giugno 2010, ad esempio, era stato accolto il ricorso di un cittadino romeno residente a Latisana, al quale era stato negato l'assegno di natalità. Pochi mesi dopo, a novembre, era stato il giudice del lavoro di Udine ad accogliere il ricorso presentato da una famiglia romena contro il Comune di Majano per l'esclusione dai contributi di sostegno all'affitto. In quei casi, i giudici avevano considerato il requisito dell'anzianità di residenza una "discriminazione indiretta", vietata dal diritto europeo.

Oggi la Consulta apre la strada a nuovi ricorsi perché aggiunge che i criteri di nazionalità e degli anni di residenza sono discriminatori perché contrari, oltre che al diritto comunitario, anche alla Costituzione italiana.
(11 febbraio 2011)

Fonte: La Repubblica

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