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martedì 25 ottobre 2011

Maricica un anno dopo, il marito Adrian: «Non perdono, ma credo nella giustizia»

Oggi targa alla stazione Anagnina per l'infermiera morta per un pugno. L'uomo ha perso il lavoro: aiutatemi, sono un fabbro.

ROMA - «Quando mio figlio chiede dov’è la mamma gli dico che è in cielo, che da lassù lo guarda e lo protegge ogni giorno. Lui piange, ma io cerco di sorridere e gli faccio una carezza». È distrutto dal dolore, si è rifugiato per qualche giorno in Romania e non sa se tornerà a Roma. Adrian Hahaianu, 33 anni, ce l’ha messa tutta: ha provato a non farsi vedere dal figlio Alessio, 4 anni, mentre piangeva, stringendo la foto della moglie, Maricica, l’infermiera romena uccisa da un pugno sferrato con violenza l’8 ottobre 2010 alla stazione Anagnina.

Ha fatto venire dalla Romania la mamma per aiutarlo a prendersi cura del piccolo. Ha continuato a fare il fabbro in un’azienda sulla Casilina finché ha potuto. Ma quando ha perso il lavoro, tre mesi fa, è caduto nella disperazione. «Il mio capo mi ha detto che c’è crisi e mi ha licenziato, sono disperato» racconta Adrian che in questi giorni si trova a Ramnicu Sarat, la città dove ha conosciuto Maricica e dove sabato, a un anno dalla morte dell’infermiera, si terrà una messa di commemorazione.

Per ricordare Maricica, oggi alle 16, verrà messa una targa dal X Municipio alla stazione Anagnina, nel punto esatto dove la donna è stata aggredita e dove ieri qualcuno ha lasciato una poesia: «Ricordiamoci di questa morte assurda, diamole un senso, salveremo altre vite». «Contro ogni violenza perché mai più accada» la frase incisa sulla targa per ricordare Maricica ma anche «per riflettere contro un rancore sociale diffuso» spiega il mini sindaco Sandro Medici. «Una targa per dire no alla violenza contro le donne, di qualunque nazionalità siano» dice Ramona Badescu, delegata del sindaco per i rapporti con la comunità romena. La comunità di Sant’Egidio ha organizzato una messa che verrà celebrata dal vescovo Giuseppe Marciante, sarà presente anche l’ambasciatore di Romania Rauzuan Victor Rusu.

Adrian e Alessio non ci saranno, porteranno fiori sulla tomba di Maricica, sepolta in Romania. «Sto pensando di restare qui - dice Adrian - non riesco a trovare lavoro a Roma, non so come fare per dare da mangiare a mio figlio. Vorrei tanto tornare, mia moglie ed io amavamo Roma, era il nostro sogno, ma da quando lei non c’è più la mia vita è distrutta, tutto va male». Il trasferimento dalla casa di Centocelle in una popolare della Borghesiana, il lavoro perso e il pensiero fisso «al sorriso dolce di mia moglie che non vedrò mai più, anche se Maricica è sempre con me, nel mio cuore».

Per Adrian Roma rappresenta ancora «l’unica salvezza» per il figlio, «l’unico modo per dargli un futuro». La coppia si era trasferita nella Capitale otto anni fa. Maricica era infermiera presso la casa di cura Villa Fulvia sulla via Appia Nuova. Poi il suo destino si è incrociato con quello di Alessio Burtone, 20 anni, del quartiere Cinecittà, a pochi passi dalla stazione Anagnina dove è avvenuta l’aggressione. Adrian fa un appello: «Cerco lavoro a Roma, sono fabbro, ma farei ogni altra cosa per consentire a mio figlio di mangiare e continuare a vivere nella Capitale».

Fa un sospiro, schiarisce la voce quando sente pronunciare il cognome di Burtone. «Non ho niente da dirgli - spiega - non gli parlerò mai e soprattutto mai lo perdonerò per quello che ha fatto. Credo nella giustizia italiana, su questo non ho dubbi, saranno i giudici a decidere». Burtone è in carcere, accusato di omicidio preterintenzionale.

«A breve verrà depositata la perizia medica chiesta dalla I Corte d’Assise per chiarire se fu determinante per la morte dell’infermiera il pugno oppure il comportamento dei medici del Policlinico Casilino, anche se per noi non ci sono dubbi» dice Alessandro Di Giovanni, legale di Adrian. Nessun dubbio neanche sulla violenza irrazionale che ha portato all’aggressione: «La cassiera del bar della stazione dove è nato il diverbio, ha ribadito che Maricica aveva chiesto scusa quattro volte a Burtone». Scuse che non sono riuscite a fermare la rabbia del giovane, esplosa in quel cazzotto che ha distrutto la vita di una famiglia.
Giovedì 13 Ottobre
di Laura Bogliolo

Fonte: Il Messaggero

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