29/7/2008 - contrasti
Capricci dell'integrazione. Che funziona nella misura in cui la si vuole...
Leggiamo tutti i giorni le cronache dei drammi dell'immigrazione, le difficoltà di adattamento, i crimini di chi non è dei "nostri" (ma anche dei "nostri"). Storie che strappano il cuori e intrecciano le budella. Così si dimentica di parlare di tutto quello che funziona. Che spesso è più di quello che non va.
Tutti i fine settimana nel campetto del parco del Cinquantenario, a Bruxelles, si gioca a pallone. Qui l'integrazione non è un problema. Sul rettangolo corrono islamici e cattolici, bianchi e neri, marocchini, turchi, portoghesi, britannici, italiani, tedeschi e ogni sorta di gente naturalizzata belga. Si entra, si esce, si fanno i turni. Nessuno fa caso alla tua provenienza o alla tua età. L'obiettivo è sgambattare, fare gol, divertersi sotto un sole mai troppo generoso.
In questo lembo di prato sintetico sei solo uno che vuole giocare. Tutto il resto è relativo. Non ci sono rancori. Solo mani tese.
L'integrazione funziona.
Non solo qui. Chissà cosa ha pensato Umberto Bossi (che ora si crede Alberto da Giussano e fa tornare in mente quel film girato a Torino con Ian Holm - I vestiti nuovi dell'imperatore -in cui tutti i matti erano convinti di essere Napoleone) quando è andato a supervedere il set della fiction leghista sul carroccio, Federico Barbarossa e la battaglia di Legnano? Chissà con quale spirito ha messo il suo bollino verde su una produzione che si sta realizzando in Romania e in cui l'Alberto padano è interpretato da un bellone israeliano?
Non l'ho letto nelle puntuali cronache dei colleghi inviati. Però è un pensiero che fa sorridere. Perchè l'integrazione, quando si vuole, può funzionare. Nonostante i crimini e le violazioni di legge che porta con sé ogni situazione di povertà e disagio. Indipendentemente dal colore della pelle, dalla provenienza, dalla religione e dall'etnia.
Fonte: La Stampa
Capricci dell'integrazione. Che funziona nella misura in cui la si vuole...
Leggiamo tutti i giorni le cronache dei drammi dell'immigrazione, le difficoltà di adattamento, i crimini di chi non è dei "nostri" (ma anche dei "nostri"). Storie che strappano il cuori e intrecciano le budella. Così si dimentica di parlare di tutto quello che funziona. Che spesso è più di quello che non va.
Tutti i fine settimana nel campetto del parco del Cinquantenario, a Bruxelles, si gioca a pallone. Qui l'integrazione non è un problema. Sul rettangolo corrono islamici e cattolici, bianchi e neri, marocchini, turchi, portoghesi, britannici, italiani, tedeschi e ogni sorta di gente naturalizzata belga. Si entra, si esce, si fanno i turni. Nessuno fa caso alla tua provenienza o alla tua età. L'obiettivo è sgambattare, fare gol, divertersi sotto un sole mai troppo generoso.
In questo lembo di prato sintetico sei solo uno che vuole giocare. Tutto il resto è relativo. Non ci sono rancori. Solo mani tese.
L'integrazione funziona.
Non solo qui. Chissà cosa ha pensato Umberto Bossi (che ora si crede Alberto da Giussano e fa tornare in mente quel film girato a Torino con Ian Holm - I vestiti nuovi dell'imperatore -in cui tutti i matti erano convinti di essere Napoleone) quando è andato a supervedere il set della fiction leghista sul carroccio, Federico Barbarossa e la battaglia di Legnano? Chissà con quale spirito ha messo il suo bollino verde su una produzione che si sta realizzando in Romania e in cui l'Alberto padano è interpretato da un bellone israeliano?
Non l'ho letto nelle puntuali cronache dei colleghi inviati. Però è un pensiero che fa sorridere. Perchè l'integrazione, quando si vuole, può funzionare. Nonostante i crimini e le violazioni di legge che porta con sé ogni situazione di povertà e disagio. Indipendentemente dal colore della pelle, dalla provenienza, dalla religione e dall'etnia.
Fonte: La Stampa
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