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martedì 28 ottobre 2008

Ion Grigorescu


La Galleria Artra è lieta di presentare la prima ampia retrospettiva italiana sul lavoro di un grande artista rumeno come Ion Grigorescu, dopo averne già anticipato l'opera attraverso le mostre collettive Revolution reloaded (2004) e Ottobre (2007).
Artista tra i più complessi e importanti del mondo artistico e intellettuale rumeno a partire dagli anni settanta, Ion Grigorescu, dopo l'89, si è imposto sulla scena internazionale attraverso la partecipazione a manifestazioni quali la 47° Biennale di Venezia, Periferic Biennal 6, Prague Biennale 3, fino alla documenta 12, in cui il suo lavoro veniva esibito sia presso il Museo Fridericianum che presso l'Aue Pavillion.
Nato nel 1945 a Bucarest Ion Grigorescu, pur svolgendo la sua attività durante il periodo di massima estremizzazione nazionalistica del regime comunista di Ceausescu, è attento alle più innovative espressioni della produzione artistica occidentale, che filtra attraverso un complesso e culturalmente stratificato bagaglio culturale. La sua grande vocazione alla sperimentazione gli ha permesso una libertà spregiudicata, più forte che in molta altra arte di provenienza occidentale, che lo ha condotto verso una continua esplorazione di ambiti eterogenei come la teoria psicanalitica, la sfera pubblica, la dimensione astratto-metafisica e quella realistico-politica.
Per Ion Grigorescu c'è una chiara corrispondenza tra arte e comportamento: il suo paradigma esistenzialista si impone su quello artistico, proponendo la crisi di identità del sé - spinta fino ai suoi limiti ultimi durante il regime totalitario di Ceausescu - quale attività principale del suo sistema concettuale. Dai primi anni '70 ha impiegato vari media: pittura, fotografia, film, installazione e performance, volti ad interrogarsi su di un'identità tragica, tanto per quanto riguarda quella privata che per quella nazionale. L'arte diventa un problema di sopravvivenza e di resistenza. Materiali di scarto, grezzi e poveristi, "cattiva pittura", ironia, nichilismo e reazione alle convenzioni, andarono ad alimentare mitologie personali. Echi di una società malata attraverso la rappresentazione di masse manipolate e di minoranze, la denuncia del discorso politico, dell'atteggiamento di repressione individuale (concedendosi persino tinte psicotiche) diventano i temi principali del suo lavoro.
L'interrogazione sulla povertà, il precario, l'effimero ed il presunto ascetismo - che può essere ricondotta ad un concetto di arte della distruzione e all'azionismo viennese - risulta chiara all'interno della concettualizzazione della mostruosità della vita ordinaria e della deiezione come risultato di una continua lotta manichea.
L'esplorazione dei limiti fisici del proprio corpo nelle performance degli anni Settanta, così come l'uso apparentemente blasfemo della sessualità, il senso di solidarietà e di partecipazione sociale nelle foto e nei video ‘pasolinianamente' desolati su Bucarest, e ancora, il cercare di essere elemento di disturbo di una società di controllo, fino ad istituire quotidiani modelli di resistenza, fanno di lui uno degli artisti più interessanti della contemporaneità nella sua accezione biopolitica.
Fonte: Sullarte.it

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