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mercoledì 2 luglio 2008

L'eccezione che non conferma la regola


L'ECCEZIONE CHE NON CONFERMA LA REGOLA - di Raffaele Emiliano (Prc F. Fontana)

Nell'era delle porte chiuse agli stranieri, agli extracomunitari e ai Rom, deve essere un duro colpo per i fautori della caccia alle streghe, la notizia di quanto accaduto domenica sera a Francavilla. Uno scippo ai danni di una donna è un gesto condannabile, certo. Ma se ad esserne vittima è una donna rumena, credo che oltre ad essere vile sia anche imbarazzante per i profeti dell'equazione rumeni uguale criminali. La donna rumena si trovava in Piazza Vittorio Emanuele in compagnia di altre sue connazionali, era sera e magari cercava un po' di sollievo dopo ore e ore di lavoro. Chissà, forse per una giornata intera aveva assistito qualche anziano e a sera usciva un po' a godersi il fresco. È stata, invece, scippata da due ragazzi a bordo di un motorino e muniti di casco, francavillesi con ogni probabilità. La notizia non mi meraviglia affatto e non deve meravigliare nessuno. Deve, però, farci riflettere. Pochi di noi provano a pensare cosa sente in cuore un lavoratore extracomunitario, uno di quelli che vanno in campagna a raccogliere pomodori e a spaccarsi la schiena, quando ascolta alla televisione le omelie contro gli immigrati, quando sente parlare di ronde e di impronte digitali, quando legge sui muri le scritte "L'Italia agli Italiani" con tanto di svastica o croce celtica, o quando, passeggiando per le periferie di una grande città, legge ripetutamente frasi del tipo "Romeni manica di ladri. Tornatevene nella merda". E pensiamo a questa povera donna che, oltre a questo clima pesante, subisce anche un furto da parte di italiani, quel furto che si addice più alla loro "razza" che alla nostra. Del resto, si sa: gli italiani hanno la memoria corta o forse non ce l'hanno affatto. Eppure, devono essere stati tanti i nostri connazionali che qualche decennio fa vivevano la stessa condizione degli attuali immigrati, quando andavano a lavorare in Germania, Belgio, Stati Uniti e altrove in questo piccolo mondo. Ora siamo diventati i padroni e decidiamo noi chi ospitare. Il lavoro manca per gli italiani, figurarsi se lo cediamo ai rumeni. Eppure i salari da fame, il lavoro in nero, il caporalato e l'assenza delle più elementari norme di sicurezza attirano in determinate sacche occupazionali (chiamiamole così) proprio gli extracomunitari. O meglio, tutto ciò è pensato proprio per loro, un po' come quei lavori che noi italiani non vogliamo fare più e che invece chi viene da fuori è disposto a svolgere, salvo poi essere accusato di rubarlo a noi quell'impiego. Se oggi fossimo qui a discutere di un furto compiuto da un rumeno, i commenti di condanna si sprecherebbero, emergerebbe il nostro senso della patria, il nostro onore, il nostro sangue blu. Forti del sostegno dell'opinione pubblica, troveremmo mille discorsi per ergerci a profeti della sicurezza e della legalità. Oggi, invece, siamo qui a parlare di una notizia che non avrebbe dovuto essere diffusa, perché infrange un dogma, una verità, la presunta efficacia di un metodo di agire. Siamo qui a vergognarci tutti, nessuno escluso. Siamo qui con due chili di ipocrisia in meno a pensare che l'informazione proveniente dai media altro non è che l'informazione proveniente dagli informatori, esseri umani anche loro, con delle idee e dei riferimenti politici, sudditi anche loro. Sudditi (o servi, fate voi) dei governi, delle imprese, soggetti ai venti che tirano nel nostro Paese. E se nel nostro Paese tira un vento di caccia alle streghe, le streghe vanno mostrate, conciate il peggio possibile, cattive, mentre tentano di rapire dei bambini, mentre ubriachi alla guida ammazzano dei ragazzi (perché se fosse stato un italiano ad essere ubriaco marcio, avrebbe frenato in tempo; la prontezza di riflessi ha anch'essa una nazionalità). Dovremmo cominciare a guardarci bene, a riconoscere quello che siamo e a capire che se c'è qualcosa che ci distingue da un rumeno non è la tendenza al crimine, ché (non dimentichiamolo mai) la mafia ha pur sempre il marchio "made in Italy". Ci distingue solo la cultura e la storia, altrimenti detta fortuna o sorte. Stiamo meglio di loro, ma non dimentichiamo che "poveri Cristi" lo eravamo un tempo anche noi. E criminali lo siamo tuttora. Raffaele Emiliano - PRC Francavilla Fontana - casadelpopolo.myblog.it 01/07/2008

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